Il poeta Rainer Maria Rilke del futuro scriveva che «entra in noi, per trasformarsi in noi, molto prima di essere accaduto». Quindi il futuro è già qui, anzi per certi versi è già passato.
Chiunque di noi ha più di cinquant'anni ha potuto vivere la trasformazione del concetto di futuro. Ancora negli anni Settanta esso era una specie di America, una terra promessa che avrebbe azzerato ogni disuguaglianza, ogni sofferenza, ogni miseria. Il futuro era un'assicurazione per la quale non si doveva nemmeno pagare la polizza. Ma era facile pensarla così, perché l'esperienza ci insegnava che a ogni generazione ne seguiva un'altra più istruita, più sana, più prospera, con più opportunità. Poi qualcosa si è rotto nel patto tra noi e il futuro, e il sol dell'avvenire è stato oscurato da molte nuvole. Il domani è iniziato a sembrarci qualcosa di non così rassicurante, i suoi dividendi non erano più garantiti, i nostri figli hanno molte meno certezze di noi, ma a loro non importa perché sono nati liquidi, instabili, inquieti. Restiamo noi, e le nostre cattedrali piene di crepe.
Alla fine non restano che gli oggetti a farci riconciliare con il futuro del nostro passato, quello che prometteva meraviglie e di solito le manteneva.
Oggi vi raccontiamo come si possa pagare con il telefonino, come i sordi possano avvertire i rumori anche per la loro sicurezza e come gli occhiali da sole possano sostituirsi ai nostri occhi. Ah, e buon futuro a tutti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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