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Quattro ragioni di Stato per non cambiare guida a Palazzo Chigi

"Draghi deve andare avanti fino al 2023 e oltre". Lo ha detto Silvio Berlusconi, lo pensano in molti, sarebbe nell'interesse dell'Italia

Quattro ragioni di Stato per non cambiare guida a Palazzo Chigi

«Draghi deve andare avanti fino al 2023 e oltre». Lo ha detto Silvio Berlusconi, lo pensano in molti, sarebbe nell'interesse dell'Italia. Proviamo a ragionare sui perché, scomponendo l'affermazione. «Draghi deve andare avanti fino al 2023» significa che non deve andare al Quirinale, né tentare di andarci.

I motivi sono almeno quattro. Eccoli. Se Mario Draghi dovesse andare al Quirinale passerebbe il messaggio che l'emergenza sanitaria ed economica che lo ha portato a Palazzo Chigi è finita, nessuno potrebbe di conseguenza assicurare la tenuta della maggioranza e dunque il prosieguo della legislatura. Mentre il Paese ha bisogno di stabilità. Se Mario Draghi dovesse andare al Quirinale, chiunque lo sostituisse a palazzo Chigi faticherebbe ben più di lui a difendere l'ortodossia del governo rispetto al Pnrr da partiti giorno dopo giorno sempre più risucchiati dalla dinamica elettorale. Se Mario Draghi dovesse provare ad andare al Quirinale e non ci riuscisse, ne risulterebbe sfregiato e il fallimento del suo tentativo equivarrebbe ad un voto di sfiducia. Il governo cadrebbe di conseguenza. Se Mario Draghi dovesse andare al Quirinale, uscirebbe dalla riserva repubblicana e non potrebbe essere richiamato in servizio come presidente del Consiglio qualora dalle prossime elezioni politiche non emergesse una maggioranza chiara e chiaramente riferibile ad un premier con credibilità europea.

Siamo al termine di un ciclo politico, il sistema è in crisi, i partiti sono deboli e disorientati, i due terzi dei parlamentari vivono la condizione d'animo del peone. Tuttavia l'Italia non è mai stata così rispettata in Europa, nel mondo e sui mercati finanziari. Merito dell'autorevolezza di Mario Draghi. È per questo che «Draghi deve andare avanti fino al 2023».

E dopo? Diciamo la verità: chiunque, in questa fase di transizione, dovesse succedere a Mario Draghi nel ruolo di presidente del Consiglio dei ministri farebbe rimpiangere il predecessore. Perderemmo parte della fiducia guadagnata, faticheremmo a realizzare il Pnrr, il debito pubblico oggi considerato «buono» rischierebbe di diventare improvvisamente «cattivo», non avremmo garanzie di ottenere i finanziamenti semestrali della Commissione europea, dal momento che, come è noto, il ciclo del Pnrr si concluderà solo nel 2026. Per questo, credo, Silvio Berlusconi ha auspicato che Draghi vada avanti «anche oltre» il 2023.

Ma perché ciò possa, eventualmente, accadere occorre che non vada al Quirinale.

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