Quegli sberleffi tv che decisero le sfide

Da Giscard a Sarkozy, quando la corsa all'Eliseo dipese da una battuta

Quegli sberleffi tv che decisero le sfide

Dallo «schiaffo» di Giscard d'Estaing a Mitterrand ai temuti colpi sotto la cintura sferrati anche dal più pacato dei leader, si vince o si perde spesso con una formula, non solo sciorinando cifre o promesse.

Eccola, la serata fondata sull'empatia via piccolo schermo. Un po' come quel 10 maggio 1974, il dibattito «presidenziale» dà la sensazione di una mission impossible che può diventare possibile per ogni finalista. Allora, nella prima sfida tv di 48 anni fa, il già ministro dell'Economia Valérie Giscard d'Estaing si trovò faccia a faccia col segretario Ps François Mitterrand, che lo pungolava sulla mancata redistribuzione della ricchezza da attuare con «intelligenza» e «cuore». Giscard fece scuola con una risposta shock: «Non ha lei il monopolio del cuore». Bordata che anni dopo Mitterrand ammetterà essergli costata «destabilizzazione» e almeno 300mila voti. Dallo stato confusionale in cui fu ricacciato per interminabili minuti sono nate schiere di consiglieri-ombra pronti a preparare a dovere i candidati: nascondendo jolly da usare contro il rivale; studiati per giorni o settimane. Giscard allora trionfò alle urne per un soffio, col 50,81 per cento, guadagnando 1 punto e mezzo proprio dopo la frase sul monopolio. Mitterrand si vendicò 7 anni dopo, nel match di ritorno, riallacciando i fili col duello precedente: e con l'altra provocazione di Giscard, sulla già lunga carriera politica del socialista iniziata 27 anni prima: «Posso essere l'uomo del passato, come mi ha accusato 7 anni fa, ma nel frattempo lei è diventato l'uomo del passivo», sbottò un ormai rodato Mitterrand. Vinse lui.

Formule ed espressioni diventano cifre stilistiche. Danno l'istantanea pre-voto destinata a restare scolpita nella memoria dei francesi, pronti anche a fare tabula rasa rispetto agli errori commessi da un presidente uscente. Non si improvvisa davanti a 15-16 milioni di persone. Nel 1988, per esempio, calò il gelo nello studio che ospitava il faccia a faccia tra l'uscente Mitterrand e Jacques Chirac, il quale disse al socialista: «Mi permetta di ricordarle che lei, qui, non è il presidente ma siamo due candidati, quindi la chiamerò monsieur Mitterrand». Mitterrand rispose con perfidia, senza scomporsi: «Certo, ha ragione, signor primo ministro...», segnando con la sua retorica l'inconfutabile gerarchia tra i due durante la coabitazione. Chirac pagò dazio. Perse nel fondamentale esercizio di eloquenza; diversa anche quando i protagonisti sono gli stessi. L'irascibile Nicolas Sarkozy «pareggiò» in tv contro Ségolène Royal dando però un'immagine «presidenziabile». E fu eletto (2007) anche grazie a quella parentesi aggressiva di Ségo, che rivendicava di non volersi calmare. Sarkò la riprese: «Per fare il presidente bisogna essere calmi». Gli andò male nel 2012 contro François Hollande. Nel più lungo «débat» della V Repubblica (2h 50'), il socialista dominò: il sorteggio lo aveva indicato primo a parlare, costringendo Sarko a replicare, più che ad attingere al suo sacco. Ma fu la formula ossessivamente ripetuta con cui Hollande si mostrava già come capo dello Stato («Io, presidente...») a rassicurare i francesi frastornati dalla «Sarkonomics». Nel '95, fu il socialista Lionel Jospin a qualificarsi primo, contro Chirac. Cortesie tv tra antagonisti, se non fosse per una frase boomerang: «Meglio 5 anni con Jospin che 7 con Chirac», disse l'uomo della gauche sposando l'idea del mandato ridotto, scattato poi nel 2002. Perse.

Unico caso di mancato «débat», proprio nel 2002. Chirac non riconobbe a Jean-Marie Le Pen la legittimità per sedersi allo stesso tavolo. «Qualunque sia il prezzo», disse, ma col paracadute del fronte repubblicano nello zaino.

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