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Quei 53 combattenti "fantasma" una minaccia reale per l'Italia

Sono i foreign fighters partiti per arruolarsi nella Jihad e che potrebbero tornare per colpire Alfano prepara misure speciali ma ammette: «Non si possono escludere fatti drammatici»

Quei 53 combattenti "fantasma" una minaccia reale per l'Italia

C'è un Paese nel mondo musulmano che più di altri è sorvegliato dall'intelligence italiana: la Tunisia. Da qui potrebbe arrivare il pericolo maggiore per l'Italia in questi giorni di allarme dopo l'attentato di Parigi alla redazione di Charlie Hebdo. Il pericolo sono terroristi che in Italia hanno già scontato anni di carcere, ora spesso in posizioni di vertice nella rete estremista in Medioriente. E che potrebbero tornare riattivando vecchi legami, portando la jihad in Europa.

Ora la parola sulla bocca di tutti i ministro degli Interni europei è: foreign fighters , i combattenti stranieri partiti dall'Occidente verso i territori di conflitto mediorientali. Anche Angelino Alfano ha annunciato misure speciali (come il ritiro preventivo del passaporto) da portare al prossimo consiglio dei ministri: sono 53 i foreign fighters dall'Italia, e sono per la maggior parte stranieri, a volte figli di immigrati italiani, in altri casi esaltati che si sono auto-indottrinati su Internet, gli «islamonauti» come li chiamano i nostri servizi, spesso reclutati tramite i contatti dai siti di area jihadista: «Nessuno può escludere che in Italia accadano fatti drammatici, anche se stiamo facendo tutto il possibile per evitarlo e abbiamo rafforzato i presidi sugli obiettivi sensibili», ha chiarito Alfano ieri. Siamo «parte dell'occidente che è sotto attacco, ospitiamo il Papa e Roma è stata più volte evocata dal califfo dell'Isis».

È da oltre un anno che le polizie di tutto il mondo sorvegliano questi «partenti». Una riunione dell'Interpol a Gran Canaria del 9 dicembre ha indicato in 800 il numero dei foreign fighters accertati e in 15mila la stima presunta degli europei partiti per il fronte. Già in quell'occasione, si segnalava come fosse la Francia la nazione più interessata da questo fenomeno, con circa mille partenze verso i teatri del terrorismo. Seguiva la Gran Bretagna con 500 partenze e la Germania con 250.

Ma i numeri sono relativi, perché, come si segnalava nel vertice spagnolo, «se un terrorista è partito da un Paese non significa necessariamente che debba tornare da dove è partito». Già a marzo del 2014, nella relazione al parlamento, i servizi segreti italiani segnalavano «il rischio del reducismo», in relazione «all'eventualità che combattenti di estrazione occidentale», dopo aver «acquisito sul campo particolari capacità offensive, decidano di dispiegarsi in Paesi occidentali, Italia compresa, per attuare progetti ostili ovvero di impiantare reti radicali».

Il pericolo di reducismo dalla Tunisia è contenuto nella già citata relazione dei servizi italiani: «In ruoli apicali di locali circuiti jihadisti – si legge nel dossier - militano estremisti con trascorsi giudiziari in Italia (compresi soggetti recentemente espulsi) che tuttora coverebbero sentimenti di rancore e di rivalsa, suscettibili di degenerare in iniziative ritorsive». Queste «ultime potrebbero» anche «interessare direttamente il nostro territorio attraverso la riattivazione di precedenti legami».

In Tunisia occupa una posizione di vertice in una milizia islamista Nasri Riad Barhoumi: prima del 2000 aveva condotto un'anonima vita nel nord Italia, poi fu recluso a Guantanamo, considerato reclutatore di tunisini in Afghanistan, condannato a sei anni in primo grado in Italia e assolto.

Oltre a «Nasri l'italiano» sarebbero anche altri i tunisini affiliati all'ala militare di Ansar al Sharia che hanno legami con l'Italia: qualcuno di loro ha scontato alcuni anni di carcere duro nelle nostre prigioni, come un tunisino lombardo di adozione, Sami Essid Ben Khemais, sospettato di essere legato a una cellula che progettava stragi in Europa.

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