
Dal momento in cui è iniziata la guerra tra Israele e Iran l'espressione più utilizzata nel dibattito è stata una sola: regime change, cambio di regime. Un auspicio per alcuni, un pericolo per altri con vari scenari sul tavolo che vanno dalla destituzione del regime khomeinista e la nascita di un nuovo governo magari con il ritorno del figlio dello Scià Reza Pahlavi, al rischio di un vuoto di potere con un Iran nel caos e una destabilizzazione di tutta l'area fino ad arrivare alla nascita di un nuovo governo ancor più radicale in mano alla nuova generazione dei pasdaran. In Iran è già avvenuto un cambio di regime con la rivoluzione khomeinista del 1979 quando venne destituita la monarchia e lo scià Mohammad Reza Pahlavi con la Repubblica islamica, un evento destinato a cambiare il destino del popolo persiano. Con l'espressione regime change si intende la sostituzione di un regime di governo con un altro che può avvenire sia attraverso processi interni (rivoluzioni, colpi di Stato, guerre civili) sia imposto da attori stranieri attraverso guerre o operazioni di intelligence. Si tratta di un fenomeno tutt'altro che raro, basti pensare che, secondo la banca dati di Alexander Downes, dal 1816 al 2011 ben 120 capi di Stato sono stati rimossi attraverso cambi di regime imposti dall'estero. Tra questi i più noti sono avvenuti alla fine della seconda guerra mondiale con le potenze dell'Asse ma sono numerosi anche i casi di intervento degli Stati Uniti durante la guerra fredda per cambiare i governi in carica. Non sempre i tentativi di regime change avvengono alla luce del sole ma è frequente si operi sotto traccia, così come non è detto vadano a buon fine e gli esempi di fallimenti sono numerosi come il caso di Juan Guaidó in Venezuela.
C'è poi un'altra possibilità ed è un'operazione di regime change che va a buon fine ma le cui conseguenze sono nefaste come avvenuto con Gheddafi in Libia. In merito al dibattito di questi giorni, l'autore conservatore americano di origine iraniana Sohrab Ahmari in un editoriale sulla rivista Unheard intitolato emblematicamente «I maniaci del cambio di regime sono tornati, l'Iran è nel mirino e non hanno imparato nulla» cita un altro esempio fallimentare «nel 2002, l'amministrazione Bush incontrò scarsa resistenza da parte dei media mainstream e dell'establishment più ampio, mentre promuoveva la causa per rovesciare il regime di Saddam Hussein in Iraq». Pur essendo uno strenuo oppositore degli Ayatollah, Ahmari mette in guardia da uno stravolgimento di governo in Iran imposto dall'esterno: «Se Israele dovesse continuare sulla sua traiettoria attuale, incluso l'attacco alle infrastrutture civili ed energetiche della Repubblica Islamica, distruggerebbe lo Stato iraniano. Ma gli israeliani non sono né in grado né inclini a rimettere insieme i pezzi in seguito. Piuttosto, internazionalizzerebbero il problema. Il che significa: Zio Sam, rimboccati le maniche». Il rischio di un'imposizione dall'esterno è di radicalizzare il popolo iraniano che, sentendosi minacciato dall'Occidente, potrebbe sposare le posizioni degli ayatollah. Sebbene nella storia i cambi di regime non siano mai incruenti, la stabilità e la durata dei nuovi assetti di potere è molto più solida quando avvengono dall'interno.
È una lezione che dovremmo tenere bene a mente anche perché, come spiega il filosofo americano Patrick Deneen molto vicino a J.D. Vance nel suo ultimo libro «Cambio di regime. Verso un futuro post-liberale», in Occidente stiamo assistendo a un'evoluzione e mutamento dell'ordine liberale, una forma diversa di regime change.