I re per una notte: candidati sicuri fino al penultimo secondo, all'ultimo trombati certi. La lotteria delle poltrone può essere spietata, guai a pregustare la nomina prima che sia fatta perché nella partita a scacchi tra partiti e correnti tutto può succedere. Le vittime sono tante, quelle più fresche Anna Maria Bernini, Paolo Romani e il grillino Riccardo Fraccaro, lanciati e poi sacrificati nelle tattiche incrociate a Palazzo Madama. Ma è un patibolo sempre in agguato, che si abbatte senza guardare in faccia a nessuno. Le cicatrici rimangono, si chieda a Franco Marini, ormai con le valigie già chiuse per traslocare al Quirinale come nuovo presidente della Repubblica nel 2013. Candidato unico e blindato di Pd, Pdl, Scelta Civica e Lega, le schede col nome «Marini» si fermano però a 521 contro i 672 necessari, sabotato da parte del Pd (i renziani). Non la prese bene affatto: «Quello che mi hanno fatto è più che inaccettabile, è ingiusto e volgare. Il Pd ha perso tutta la credibilità, tutta» dirà poi, ancora scosso. Marini verrà risarcito, si fa per dire, con una sottopoltrona governativa, quella di presidente del «Comitato storico-scientifico per gli anniversari di interesse nazionale». Basta che tra gli anniversari non debba ricordare quello della sua bocciatura per il Colle.
Ma in quella stessa partita del Quirinale (toccherà alla fine a Napolitano, per la seconda volta) venne bruciato un altro pezzo da novanta del Pd, Romano Prodi. Il nome dell'ex premier arriva alla quarta votazione, come frutto dell'accordo tra Pd e centrosinistra. Già alcuni illustri commentatori avevano dato per certa l'elezione di Prodi. Ma anche stavolta va storto, e il Prof viene sabotato dai famosi 101 franchi tiratori del Pd (anche qui ci fu lo zampino di Renzi), mandando a pezzi il partito democratico e portando alle dimissioni l'allora segretario Pier Luigi Bersani. Anche per Prodi rimarrà una ferita mai sanata del tutto («Fui silurato al Colle perché temuto» racconterà in un libro-intervista).
Un altro «re per una notte», appunto Bersani, il «non vincitore» delle elezioni in quell'anno. Un po' più che una notte, per la precisione sei giorni, dall'incarico esplorativo per cercare una maggioranza, alla constatazione del fallimento. In mezzo, il dramma delle «consultazioni» in cui il povero bersani cerca di trovare un «piattaforma programmatica» in 8 punti, nel tentativo di convincere il Movimento 5 Stelle ad appoggiarlo per un futuro esecutivo. La risposta di Grillo fu però poco programmatica: «Sei un morto che parla». «A Grillo voglio solo dire che accolgo il suggerimento di Vasco Rossi: Fottitene, dell'orgoglio. Lui può insultare finché vuole, ma deve venire in Parlamento a dirmelo» rispose Bersani. Verrà la delegazione del M5s, in un tragico streaming da cui Bersani esce umiliato e sconfitto. Premier per pochi giorni, non più segretario.
Altre bocciature di candidati dati per sicuri sono state meno cruente, come quella di Dario Franceschini, dato per certo alla guida della Camera, poi soffiatagli dalla Boldrini. E sempre il Colle fu fatale per Arnaldo Forlani, segretario della Dc sulla via dell'estinzione nel '92: candidato al Quirinale, manca l'elezione per solo 29 voti. Una beffa che segnò la fine della sua carriera politica. Ancora più tremenda fu la delusione per Giovanni Spadolini, sconfitto per una sola scheda (pure contestata) nella corsa alla presidenza del Senato dall'allora berlusconiano Carlo Scognamiglio, 1994.
«Calma, non è mica la presa della Bastiglia» provò a sedare gli animi il senatore anziano Francesco De Martino, che presiedeva l'aula. Facile dirlo quando a infrangersi sono i sogni di gloria di un altro. È la politica, bellezza. Tra i tanti privilegi che concede, c'è anche qualche spina pronta a trafiggere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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