
La lista dei paesi sicuri. È da mesi la prima linea dello scontro fra giudici e magistrati. Il governo studia una procedura accelerata per il rimpatrio dei migranti irregolari, i giudici la smontano. Una, due, tre volte. E i profughi che erano stati dirottati nelle nuove strutture create ad hoc in Albania vengono rimandati in Italia. Liberi. Anche se provengono da paesi che per lo Stato italiano sono sicuri. Ai magistrati non va bene e fanno a pezzi le decisioni dell'esecutivo.
Del resto su questo complesso tema c'è sempre stata una sensibilità, se così si può dire semplificando, tutta dalla parte dei richiedenti asilo. E la clamorosa vicenda Open Arms lo dimostra in pieno: l'ex ministro dell'Interno Matteo Salvini viene processato, addirittura, per sequestro di persona e per lui la Procura di Palermo chiede, nientemeno, sei anni di carcere. Finisce, come sappiamo, con una clamorosa assoluzione che fa tabula rasa dell'impianto accusatorio, ma intanto le pesantissime accuse e la requisitoria hanno fatto il giro del mondo.
La querelle segue sempre lo stesso copione, anche se cambia di volta in volta il teatro degli scontri: il governo elabora provvedimenti per arginare l'invasione di migranti che arrivano dai paesi più disperati del mondo e sono mossi non da guerre o persecuzioni ma semplicemente dalla terribile leva della povertà, anzi della miseria più nera, e i magistrati appallottolano decreti e buone intenzioni, sacrificandoli sull'altare dei diritti degli esclusi. Sempre sotto l'ombrello della Costituzione che tutela i diritti fondamentali.
C'è sempre qualche diritto che viene calpestato e così le sentenze abbattono la diga faticosamente costruita da Palazzo Chigi.
Insomma, sorge il sospetto che in realtà si tratti di un'opposizione di principio, ideologica, se si vuole politica, anche se le toghe negano sdegnate. E però certi comportamenti di alcuni giudici protagonisti di questi scontri alimentano ulteriori dubbi. Se hanno manifestato in piazza, come Iolanda Apostolico nel 2018, sarà più facile aspettarsi proprio da loro parole scritte che vanno contro l'attuale maggioranza.
Lo scontro che si consuma in queste settimane si riaccende dopo una sentenza della Corte europea il 4 ottobre. I giudici di Lussemburgo stabiliscono che non può essere considerato sicuro un paese una cui parte non sia sicura. È il caso della Moldavia che comprende quella terra di nessuno che è la Transinistria.
I giudici di Roma che hanno la competenza esclusiva sui centri albanesi prendono la palla al volo e mitragliano le norme italiane. Per loro il verdetto va allargato alle categorie insicure: sindacalisti, attivisti, gay e altri ancora. Se rischiano, quel paese deve uscire dalla lista.
E di fatto l'elenco si assottiglia fino a diventare quasi simbolico.
Una prima sentenza a ottobre, una seconda a novembre: i trattenimenti in vista delle espulsioni vengono annullati. Diciannove bengalesi ed egiziani tornano liberi in due ondate successive. L'Albania tricolore va in tilt e i poliziotti si ritrovano a sorvegliare solo se stessi. Magari fra una sauna e uno sbadiglio per ingannare il tempo.
Prima di Natale arriva la Cassazione con un verdetto più double face che dà a Cesare quel che é di Cesare ma non elimina la possibilità di intervento del potere giudiziario. Risultato: un'interpretazione e una percezione a fisarmonica che sbanda di qua e di là. Il governo scrive intanto un decreto che dirotta la competenza dal tribunale alla corte d'appello ed ecco, voilà, sei magistrati si spostano, attraverso l'applicazione, esattamente dalla sezione immigrazione di primo grado a quella d'appello. Siamo di nuovo allo stesso punto, in una sorta di gioco dell'oca.
La corte d'appello fotocopia le precedenti pronunce e conferma la linea del no. Quarantatré migranti vengono rispediti in Italia. Il Governo viene scavalcato. Ora arriva il ribaltamento di un'altra vicenda che per una volta si era chiusa con il riconoscimento della «insindacabile sfera politica» del Ministro dell'Interno e della separazione dei poteri. Nell'eterno braccio di ferro con le ong. E con la nave Diciotti, quella per cui aveva protestato Apostolico. In realtà anche allora non era finita proprio così.
Anzi: il Tribunale dei ministri non aveva accolto l'impostazione della procura di Catania e aveva chiesto ugualmente il processo al Senato. Ottenendo risposta negativa da Palazzo Madama. Oggi i migranti della Diciotti dovranno essere risarciti.
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