Quei vini respirano Molière ma profumano di Toscana

La storia di Jean-Claude Mas, dei 22 milioni di bottiglie dei suoi Domaines e dell'incontro decisivo con Giorgio Grai

Quei vini respirano Molière ma profumano di Toscana

Jean-Claude Mas è uno di quei francesi che immagini avvolto dal fumo di una Gitanes papier mais, forse reduce da una partita a bocce alla Colombe D'or in area Saint Paul de Vence, lo sguardo smarrito nei pensieri di notti lunghissime e di albe che mai arrivano, il ciuffo vaporoso, l'amore delle auto vintage e, infine e soprattutto, il vino. Ma Jean-Claude Mas non è quello che immagini, è altro, è famiglia, è moglie, è figli, ci sono anche le vetture della belle époque ma su tutto, prima di tutto il vino. Astelia è il nome della sua dimora, sarebbe l'acronimo dei suoi eredi, Astrid, Elisa, Apolline, Estelle ma è anche una linea di suoi vini. Nelle strade di Pézenas si scriveva e si parlava soprattutto e soltanto di Molière che in questa fetta di Francia, la Linguadoca, venne a trascorrere gran parte della sua adolescenza e poi maturità. Era forse scappato dalla capitale che lui così definiva: «Sì, ve l'ho già detto, qui a Parigi prima impiccano un uomo e poi gli fanno il processo». Oggi Jean-Claude Mas è il nuovo borghese gentiluomo, il suo teatro sono le vigne, i Domaines Paul Mas, eredità di una storia partita con il bisnonno Auguste, passata a Raymond, quindi a Paul e al fratello Maxime, i nove ettari si sono moltiplicati, quasi senza confine, 940 oggi, di cui il 30% biologico, ai quali vanno aggiunti i 1.500 ettari dei vignaioli in società, aboliti i glifosati, 45 le varietà di uve, 140 cuvée che esporta in oltre 60 paesi, identità distribuite nei principali crus di Languedoca: Grenache, Syrah, Chardonnay, Mauzac, Sauvignon, Viognier, Cabernet, Merlot, Cinsault, Carignano, nomi maliziosi per certe bottiglie, Arrogant frog, Grenouille arrogant, là dove l'arroganza riaffiora nel francese doc, nel suo superiority complex che però sa e deve fare i conti con una realtà imprenditoriale foresta, altrettanto superba e astuta.

Prima era vino di pronta e facile beva, anche annacquato, sagre paesane, feste di vendemmia, sbronze solitarie e di brigata. Jean-Claude se ne era andato in giro per il mondo, America, Stati Uniti, Inghilterra, Italia, terre profumate di natura, vigne e ulivi, JCM come l'Indiana Jones alla scoperta della pietra verde, osservava, studiava, scopriva, e finalmente capiva: il vino di Auguste poteva diventare un business, il sogno di un bambino una grande impresa, oltre il presepe di origine. Del resto fu proprio una corsa nei campi alla ricerca del nonno impegnato in vigna, a cambiare i suoi viaggi di infanzia. Nell'aria fresca dei campi, Jean-Claude scorse, come improvviso, un airone, stava fiero, di profilo quasi a sorvegliare il mondo attorno, sarebbe diventato proprio lui il simbolo disegnato sulle etichette, oltre 22 milioni di bottiglie (di cui una parte non modesta entra quotidianamente nei ristoranti italiani), le ultime con un tratto di grafia gotica sul vetro trasparente, colore di una foglia morta, ancora immagini diverse, un'auto d'epoca su una bottiglia di «Mon Grenache», un regno, un impero, il lusso contadino, un ossimoro che diverte monsieur Mas, furbastro ad acchiappare gli astanti con racconti che sembrano favole. Dopo un corso di conoscenze da Bernard Magrez, che per la Francia significa il docente della terra bordolese, ecco Sesamo, ecco la caverna con il tesoro, ciò che rende maggiormente orgogliosi noi «ritals» (da R.Ital, république italienne, come diceva il timbro sui documenti dei nostri immigrati) o «maca» (da maccaroni) come gentilmente ci chiamano i francesi, perché l'uomo che ha cambiato la vita e l'impresa di monsieur Mas è stato Giorgio Grai, un citoyen italiano a denominazione di origine controllata. Grai, la cui docenza si è spenta nel 2019, definito anche il «grande vecchio» del vino italiano, gli fece scoprire la cultura enologica della Toscana, la storia e la tradizione, quasi una religione profonda che nel vino trovava e trova la sua espressione più nobile e affascinante. I comuni di Montagnac sono diventati i nuovi territori, Jean-Claude Mas ha rilanciato una zona che non aveva grande storia e tradizione vinicola, in sudditanza psicologica e commerciale dei grandi vini di Francia, inavvicinabili per prezzo, narrazione, leggenda, sostanza. Il progetto di Mas è conservare la qualità nel grande bacino di produzione e di vendita, senza esasperazioni di prezzo, anzi inseguendo l'equilibrio necessario, direi indispensabile, per presentarsi ed affermarsi su un mercato sempre più vasto ma con spicchi non sempre chiari, senza inseguire la fama con valutazioni esorbitanti destinate queste ad una clientela spesso superficiale se non ignorante, portata a scegliere il vino in base al suo altissimo prezzo, non avendo la minima conoscenza di uve e affini ma soltanto esibendo il denaro speso per una bottiglia preziosa. Invece Mas sa vendere i suoi vini a base euro 6, è il costo minimo di una sua bottiglia che può poi variare nel prezzo salendo fino a 25 euro e un altro dato quasi sconcerta, l'export raggiunge il 90% del prodotto, sembra davvero una percentuale folle ma è anche la didascalia del suo successo, nella sua produzione. Gli piace la provocazione e non esita a precisare che «la reputazione di un vino si ottiene con tre elementi: l'etichetta, il marketing e il prezzo. Se bevete un vino da 50 euro e non è buono troverete mille spiegazioni.

Se bevete un buon vino a 6 euro non andrete alla ricerca di nessuna lettura particolare. Questo è lo snobismo». Jean-Claude Mas ha usato l'astuzia trasformandola in intelligenza, è lui l'airone che attraversa i confini e cerca ancora la voce di Auguste. Il sogno ora è storia.

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