Da qualche tempo la parlamentare grillina Cinzia Leone sta conducendo una encomiabile battaglia accanto ai radicali per dare alle carceri italiane un volto più umano: a costo di sfidare la vocazione alle manette facili propria di molta parte del Movimento 5 Stelle. «L'ultima volta che sono entrata in carcere - ha dichiarato la Leone - sono uscita con le lacrime agli occhi». E ha lanciato la proposta di un decreto contro l'affollamento.
Della realtà delle carceri italiane, d'altronde, la Leone ha a disposizione anche la descrizione che può venirle da un'amica con cui è stata ritratta più volte, e con cui ha avviato numerose iniziative in comune. Si chiama Valentina Costanza, è una giovane insegnante di Partinico, il comune in provincia di Palermo che fa parte del collegio elettorale della senatrice Leone. La Costanza è assai attiva nel sociale, è presidente della sezione locale del «Movimento per la Vita» ma è anche autrice di una iniziativa contro il femminicidio insieme alla portavoce dei grillini - nonché unica consigliere comunale del movimento a Partinico - Giusi Di Capo.
La senatrice Leone e Valentina Costanza sono state fotografate ripetutamente insieme, anche in occasione del matrimonio della seconda. Ed è dalla Costanza che la Leone può avere ricevuto i primi allarmi sulla gravità della situazione carceraria. Un mondo di cui in famiglia si parla spesso: Valentina ha una sorella maggiore, che si chiama Claudia, che con il sistema penitenziario ha avuto a che fare molto negli anni passati. Suo marito si chiama Enzo Salvatore Brusca, è nato cinquant'anni fa a San Giuseppe Iato ed è agli arresti dal 20 maggio 1996, quando dopo una lunga latitanza venne arrestato insieme a suo fratello Giovanni, capo mandamento di Cosa Nostra nel comune siciliano. Poco dopo l'arresto, Giovanni Brusca si pentì, rivelando tra l'altro di avere azionato il telecomando della strage di Capaci e di avere ordinato l'uccisione e lo scioglimento nell'acido del piccolo Santino Di Matteo. Tra gli esecutori materiali dell'ordine, Brusca indicò proprio suo fratello Enzo: il quale, seguendo il suo esempio, si pentì anche lui.
Grazie alla collaborazione con quattro procure, Enzo Brusca ha evitato la condanna all'ergastolo, e dopo sette anni di carcere già nel 2003 ha ottenuto di lasciare la cella e
di scontare la pena (che dovrebbe finire tra cinque anni) in detenzione domiciliare. Ma sua cognata Valentina può avere ugualmente raccontato all'amica parlamentare molto della esperienza diretta con il «pianeta carcere».
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