"Quelle lettere agli italiani spaventati dalla pandemia. In pensione suono il rock"

L'ex dg della Salute: "Sulla zona rossa politica in ritardo, ma il processo non è la risposta giusta"

"Quelle lettere agli italiani spaventati dalla pandemia. In pensione suono il rock"
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Un viaggio in Israele o in Giordania, un libro sulle pandemie da riaggiornare (manca il Covid), un abbonamento in palestra, una chitarra elettrica da suonare, delle canzoni da incidere, tanti classici della musica da ascoltare: Pink Floyd, Santana, Phil Collins. Gianni Rezza, Direttore generale del ministero della Salute, che non nasconde la sua vocazione all'insegnamento dell'epidemiologia, è andato in pensione. Il giorno in cui l'Oms ha dichiarato la fine dell'emergenza.

È una coincidenza?

«Sì certo. Ma da quando è arrivato Omicron il virus ha un altro volto. Si è diffusa un'immunità ibrida (infezione e vaccini) e di polmoniti ne girano veramente poche».

Possiamo dire che il Covid è endemico?

«È uno stato di transizione, manca ancora la stagionalità. Ci si infetta ancora anche nel periodo caldo».

Conte e Speranza sono stati interrogati per le accuse di epidemia e omicidio colposo durante la prima ondata di Covid in Val Seriana. Secondo lei vanno condannati?

«Non entro nei fatti giudiziari. Io allora dirigevo il Dipartimento all'Iss di malattie infettive e quando il Cts mi convocò dissi che serviva subito la zona rossa».

Ma non l'hanno ascoltata.

«Secondo me invece era un atto dovuto. Sembravano tutti d'accordo. È mancata la decisione politica».

Ma sono accuse pesanti.

«In Italia si passa dal nulla ai processi, però ci sono altri livelli di valutazione. In Inghilterra è stata istituita una commissione d'indagine tecnica che valuta gli errori passati. Sarebbe quello anche in Italia lo strumento giusto. Per capire bene che tipo di risposta dare in futuro».

Ancora pandemie in vista?

«Sono fenomeni bizzarri. Nel secolo scorso ne abbiamo avute tre influenzali. Più di recente c'è stata la Sars nel 2003, l'H1N1 nel 2009 e poi il Covid. Prima o poi arrivano. Non bisogna fare allarmismi, ma quando cala la tensione ci si rilassa. In questo momento ci sono scorte importanti, ma non devono essere mai intaccate né dirottare la spesa per emergenze sanitarie su altre voci di bilancio».

Lei ha passato 30 anni all'Iss e tre al ministero. Cosa ha preferito?

«Il ministero non è struttura tecnica, ci sono regole diverse, hai meno libertà. E io sono un tecnico».

Chi preferisce tra Speranza e Schillaci?

«Il primo si è applicato molto, ha sofferto, è stato un ministro di guerra; il secondo è un ministro per la ricostruzione. Non sono comparabili. Personalmente ho lavorato molto bene anche con l'ex ministro Ferruccio Fazio e insieme abbiamo fatto scelte coraggiose durante la pandemia dell'influenza suina. Come la chiusura di alcune scuole».

Le manca il suo ruolo?

«Quello che non mi manca è la pressione quotidiana vissuta per tre anni lavorando sette giorni su sette. Fin dai tempi dei bollettini quotidiani nella sede della Protezione civile. La gente era molto attenta a quei numeri».

Ha mai parlato direttamente con gli italiani?

«Ho risposto a molte lettere per consigli, anche di tipo medico. E mi è arrivato anche qualche insulto. Ma se la prendevano più con i divieti che con me».

Quali sono le emergenze sanitarie del post Covid?

«Sulle malattie infettive bisogna mantenere l'attenzione, così come per le malattie croniche, gli screening. Ma il problema più grosso è la mancanza di medici e infermieri e il disagio nei pronto soccorsi».

I camici bianchi sono sempre più emarginati.

«Sì, i medici hanno

paura. Sono sotto stress, fanno turni massacranti e rischiano di essere indagati al minimo problema. È ora di sgravarli dalla responsabilità penale per non innescare la pericolosa spirale che si chiama medicina difensiva».

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