«Questo è il momento più duro» Retromarcia anche sulla scuola

Il premier tenta la controffensiva dopo il voto e annuncia una conferenza nazionale sulla riforma dell'istruzione: «Troppi emendamenti, non posso assumere i precari»

Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a ballare. Come il John Kennedy all'epoca della crisi della Baia dei Porci o, più modestamente, come il John Belushi di Animal House , il premier sconfitto cerca già la rivincita. Il Campidoglio traballante, lo scandalo romano, il flop elettorale, l'immigrazione, la sinistra Pd che si mette di traverso, l'economia che non riparte, la maggioranza che si assottiglia. Certo, ammette, per il governo è davvero un brutto periodo. «È il momento più difficile e più affascinante dell'intera legislatura, che finirà nel 2018. Fa venire i brividi, ma siamo qui per questo. Quando ci sono delle difficoltà quelli bravi le superano». Oppure fanno retromarcia: le assunzioni dei centomila precari della scuola slittano al 2016.

Quello bravo, spiega, sarebbe lui. Non il nuovo Matteo di Palazzo Chigi, il Renzi 2, istituzionale, compassato, mediatore, bensì Renzi 1, il Rottamatore, quello che piaceva alle gente e vinceva alle primarie. Troppe negoziazioni con i Fassina e i D'Attorre, troppe concessioni alla minoranza interna. «Se il Pd ha perso - sostiene - è anche perché «i candidati non li ho scelti io». Quindi, basta con le primarie e basta cambiali in bianco a Ignazio Marino. «Dobbiamo continuare a dire come cambiamo. Devo riprendere in mano il partito, da oggi si torna al Pd che mi ha eletto».

Un pizzico di autocritica, «non siamo riusciti ad occupare il centro», qualche correzione alle riforme e tanta voglia di rivalsa. Il nuovo-vecchio Renzi riparte con un'offensiva mediatica a largo raggio. Un'intervista alla Stampa , il salotto di Porta a Porta , messaggi di fumo sparsi, tutto per dire che, se qualcuno dopo la scoppola elettorale pensa che trovare un Renzi arrendevole, si sbaglia.

Punto primo, non ci saranno elezioni anticipate. «La legislatura finisce il 2018». Punto secondo, il partito deve seguire il suo presidente del Consiglio, non boicottarlo. «Se vogliono mandarmi via, c'è il congresso nel 2017. Vado a casa se non sono bravo, devo piegare dieci camicie e prendere un po' di libri e lo faccio. Ma devo perdere le elezioni o il congresso». La sinistra interna si metta il cuore in pace. «Ora possiamo tornare a discutere se il Jobs Act porta lavoro, come facciamo a portare investimenti in Italia. Da ora in poi parlo solo di questo, se parlo di Pd, delle correnti, della maggioranza o minoranza, mi vengo a noia da solo». Matteo stringe i bulloni del Nazareno. E il primo segno è l'elezione del nuovo capogruppo alla Camera Ettore Rosato.

Punto terzo, bisogna rilanciare l'azione di governo. «Succede di perdere, in alcune città il Pd ha perso, altre le abbiamo riprese ma certo quando i cittadini scelgono altro, il partito deve riflettere. Un anno fa il Pd aveva il segno più 40% e i posti di lavoro avevano segno meno. Oggi l'economia torna a tirare e abbiamo 260 mila posti di lavoro in più».

Tra le questioni aperte, la scuola. La notizia è che i precari rischiano di restare a bocca asciutta. «Quest'anno - dice Renzi -, con tremila emendamenti in commissione, non riusciremo ad assumere i 100 mila a settembre. Le scelte dell'opposizione hanno come conseguenza che il provvedimento non riuscirà ad entrare in vigore in tempo per l'autunno. Slitterà tutto all'anno prossimo». Resta il fatto che la Buona Scuola non piaccia a nessuno. «Faccio tesoro del suggerimento di Lula: se sei convinto di aver ragione ma hai l'opinione pubblica contro, fai una conferenza nazionale, racconti la tua proposta, ascolti le critiche e poi decidi. A inizio luglio faccio una conferenza sulla scuola, sento tutti, dai sindacati alle famiglie per un giorno e dopo si decide».

Altra patata bollente, l'immigrazione. Matteo mostra i muscoli: «Un problema enorme e ci sono solo due modi per affrontarlo. O lo fa l'Europa o lo la fa l'Italia. E se il tema lo lasciano a noi, noi ne prendiamo atto. Noi siamo un grande Paese e non possiamo immaginare che navi di altri Stati prendano i migranti in mare e poi li scarichino sui nostri porti». Anche se, sottolinea, «dal punto di vista formale lo possono fare». Che fare? Ad esempio, «i permessi temporanei sono un'arma che dobbiamo avere, ma io penso che al prossimo consiglio europeo l'accordo si chiude, l'Europa non ha interesse ad essere solo una moneta». Conclusione: «Ci sono le condizioni perché l'Italia si faccia sentire: 24 mila sono i baci di Celentano, se su un totale di 80 mila richiedenti asilo ne sono redistribuiti 30/40 mila, si va verso una gestione più saggia».

di Massimiliano Scafi

Roma

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