Cronaca internazionale

"Questo sisma peggio di missili e mortai. Aleppo distrutta, 4mila sfollati in chiesa"

Il vescovo maronita della città siriana racconta la paura e la distruzione. "Passavano i minuti e le scosse non finivano. Ho temuto di sprofondare"

"Questo sisma peggio di missili e mortai. Aleppo distrutta, 4mila sfollati in chiesa"

«Grazie a Dio campo ancora, ma mi creda il terremoto della scorsa notte è stata una cosa tremenda. Io e i miei fedeli non abbiamo mai provato tanta paura. Abbiamo vissuto momenti terribili, peggiori di quelli provati all'inizio del conflitto quando la mia chiesa si ritrovò per mesi al centro degli scontri tra i militari e i ribelli asserragliati nella città vecchia. Quella volta un paio di bombe di mortaio e un missile esplosero proprio davanti alla mia sagrestia, ma stavolta è stato peggio, molto peggio». Monsignor Joseph Tobji, vescovo maronita di Aleppo, ricostruisce così - in questa intervista telefonica con il Giornale - la terribile notte di domenica. Una notte d'angoscia e incertezza trascorsa tra le mura vacillanti dell'antica Cattedrale di Sant'Elia nello storico quartiere cristiano di Al-Jdayde. «Passavano i minuti e le scosse non finivano più. A un certo momento ho temuto che la chiesa e l'intera città sprofondassero. Quando è finita temevo di uscire e ritrovarmi solo tra le rovine».

Quarantotto ore dopo qual è la situazione ad Aleppo e dintorni?

«La vera incognita è proprio questa. Il bilancio della tragedia nella zona urbana e nel circondario è di circa 600 fra morti e dispersi oltre a 1.500 feriti. A questo bilancio, già tragico, s'aggiunge la grande incognita del futuro. Aleppo era una città degradata con molti edifici abusivi già prima della guerra, poi ha sopportato le bombe e la miseria con il conseguente rinvio delle opere di mantenimento degli edifici. Per non parlare delle migliaia di edifici e condomini costruiti al di fuori di ogni regola per ospitare gli sfollati. A oggi nessuno è tornato a esaminare le proprie abitazioni per paura di nuove scosse. La gente vive accalcata nelle chiese o nei centri di emergenza creati dal governo. Quindi non sappiamo ancora quante persone resteranno senza un tetto».

Avete aperto le chiese agli sfollati?

«Sì certo, sin dalle prime ore. In questo momento vi hanno trovato rifugio almeno 4mila sfollati. La maggior parte sono cristiani, ma ci sono anche molte famiglie musulmane. Il problema è come garantir loro un assistenza degna di questo nome. Perché non dimenticate che dopo la guerra e prima del terremoto qui sono arrivate le sanzioni. Grazie alle misure punitive imposte dall'America e da voi europei non troviamo più gasolio e siamo costretti a vivere con due ore di elettricità al giorno. In questa situazione è già difficile trovare delle coperte figuriamoci garantire pasti caldi a 4mila persone».

Insomma il terremoto è solo l'ultima delle disgrazie...

«Certo il terremoto è arrivato da due giorni, ma le vostre sanzioni durano da anni e ci hanno ridotto allo stremo. Viviamo al freddo e nella miseria più assoluta. Direi peggio di quando si stava di guerra. Ora il terremoto rischia di trasformarsi nel colpo di grazia. Almeno per noi cristiani».

Che significa?

«Che la comunità è sempre più esigua. Molte famiglie sono fuggite all'estero durante la guerra e non sono mai tornate. Altre le hanno raggiunte quando sono arrivate le sanzioni e si è capito che la pace non garantiva un ritorno al passato. Ora però siamo andati ben più in là. Le sanzioni hanno privato i cristiani di Siria dei beni essenziali e il terremoto minaccia di togliere loro anche la casa. Ma chi ha perso la propria abitazione e non ha i mezzi per ricostruirla abbandonerà tra le sue macerie l'ultimo briciolo di speranza e se ne andrà per sempre. Per questo noi cristiani di Siria siamo condannati. Saremo sempre meno e sempre più soli».

Cosa chiedete ai vostri fratelli d'Italia e d'Europa?

«Innanzitutto di pregare il Signore perché ci aiuti. Poi, se potete, di farci sentire la vostra solidarietà.

Qui anche un piccolo gesto può aiutarci a resistere e a non abbandonare le terre in cui, duemila anni fa, il cristianesimo ha messo le sue radici».

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