Giuliano Poletti e Valeria Fedeli sono due modelli negativi per i nostri studenti. Non soltanto per gli atti compiuti e le parole dette o mancate ma per la rappresentazione inconscia che hanno della gioventù e della loro formazione. Manca loro il rispetto necessario verso chi cerca di prepararsi al meglio per sviluppare quelle competenze chiave che servono al progresso, a se stessi e alla comunità. La ministra Fedeli, svelata l'impostura sulla sua laurea fasulla, ha dichiarato che si è trattato soltanto di un errore, una leggerezza nella gestione del racconto di un passaggio della sua vita, quello dei titoli di studio. Una carriera universitaria non è un passaggio o l'ottenimento del «pezzo di carta» ma una fase lunga e faticosa, in cui per imparare il miglior stato dell'arte della disciplina che si studia si sacrificano anni di gioventù, chini sui libri e in preda all'ansia. Non c'è bugia se non esiste segreto. La ministra ha falsificato la propria identità, ha mentito sapendo di mentire, per celare qualcosa di una vita che non percepiva abbastanza valida da essere raccontata autenticamente. Ha finto di essere o sapere più di quanto sia o sappia diffondendo pubblicamente false informazioni per trarne vantaggio. Per fare la ministra dell'Istruzione la Fedeli ha millantato un'istruzione che non ha. L'ha fatto perché si vergogna di non possedere quel titolo richiesto a tutti quelli che intendono ricoprire posizioni di un certo livello, per apparire altro da sé.
Quando parla dei giovani e della formazione universitaria anche il ministro Poletti è vittima di lapsus, errori verbali che indicano conflitti interiori di natura emotiva. Dichiara una cosa ma ne intende un'altra, dimentica frasi che esprimerebbero un concetto che chiarisce sempre a posteriori. Per il ministro del Lavoro la laurea è un traguardo che bisogna raggiungere a 21 anni e non è fondamentale dare il meglio di se stessi per conquistare l'agognato 110. Sembra parlare al figlio Manuel che a 42 anni racconta di dover dare ancora qualche esame per poi laurearsi. È un genitore arrabbiato che dice al figlio che non ci si comporta in questo modo. Di fronte alla fuga di cervelli, giovani che hanno il massimo grado di istruzione universitaria ottenibile, alla fine lo assolve, per amore.
Tra i tremila ricercatori italiani che ogni anno fuggono dal Paese andando a contribuire allo sviluppo economico di altre nazioni, ci sono alcuni soggetti che è meglio non avere tra i piedi, mentre quelli che rimangono, dice Poletti senior, non sono mica tutti «pistola», e ancora una volta sembra pensare al suo amato Manuel.
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