QUI MILANO Stazione Centrale

Un'ondata di disperati poco visibili dai viaggiatori Un negoziante accoltellato. Smentiti i casi di malaria

MilanoPuò capitare, è capitato, di entrare alla stazione, prendere un caffè e un treno, tornare indietro, uscire dalla stazione e andare a casa senza vederli, i profughi. Non vuol dire che non ci sono, solo che queste famiglie di Siriani e Eritrei che ogni notte sbarcano dai treni in arrivo dal Sud sono ammassati fuori dai circuiti dello shopping, lontani dai tapis roulant che sono la nuova via obbligata dei milanesi che arrivano e partono dalla Centrale.

I profughi vivono nel mezzanino della Stazione, tra i marmi e sui pavimenti a mosaico di età fascista, circondati dalle scalinate che attirano i turisti. Cercano un tuffo nel passato prima dell'Expo e trovano una marea di disperati, chiusi da transenne in un recinto in cui volontari dal cuore di carne danno loro da bere e ne fasciano le ferite, che a volte sono vesciche sui piedi devastati dai deserti e sopravvissuti al mare. Altre volte, sono i segni della scabbia. Si diffonde anche l'allarme malaria, con i responsabili costretti a smentire: sono sospetti, timori mai confermati.

«Quando è scabbia diamo loro la crema, li mandiamo a fare la doccia e poi offriamo un ricambio sgrauso», dice Gianluca, che ha passato la notte in stazione, come gli succede spesso da otto mesi, ed è un misto di rabbia e amore, miscela indispensabile per non soccombere in mezzo a questi bambini che giocano, alle mamme abbattute per terra, agli uomini che sono uomini e in situazioni estreme è facile che non sia sempre il bene a prevalere. «La polizia ferroviaria ci ha segnalato un accoltellamento», dice concitato un volontario. È un negoziante di 76 anni: ricoverato in condizioni non gravi.

Alle grida si mescola da lontano una dichiarazione di sconforto del sindaco, Giuliano Pisapia: «C'è un limite. Non si può pensare che Milano, da sola, possa risolvere un problema epocale». Non si arrende la città, coeur in man e piedi per terra: poche parole, molti fatti. È la stazione di Fratel Ettore, di santa Francesca Cabrini e di madre Teresa: le targhe non dimenticano e nemmeno le persone. L'attualità è una gara di generosità, tra il rifugio Caritas, don Mazzi e la Fondazione Arca, le Ferrovie che offrono gratis i locali per l'accoglienza, i cittadini che portano vestiti e cibo. Ma i volontari sono stremati.

«Abbiamo servito quattrocento colazioni, stanotte 170 persone hanno dormito qui per terra e altre 300 fuori. Noi diamo panino e acqua, tanta acqua. Ora la situazione è peggiorata perché il Brennero è chiuso. I Siriani arrivano dalla Sicilia con un biglietto sul quale è già scritto: mezzanino Stazione. Paura della scabbia? Non sarei qui», racconta ancora Gianluca. A metà giornata non sembrano neanche tanti, i profughi, sparsi per la città, ma per capire devi venire quando è ora di passare un'altra notte, qui o sotto un portico di via Vittor Pisani. E poi la dignità non è un fatto di numeri.

Fuori, nella Galleria dove passavano le carrozze, c'è una roulotte della Croce rossa. È l'inizio del presidio sanitario della Regione. Un funzionario dà ordini: «Diciassette transenne, scrivete pronto soccorso, area riservata alle visite. I casi più gravi all'ospedale, per gli altri le docce». Il presidio, com'era negli anni '90, doveva essere al binario 21. È il luogo simbolo degli invisibili: nei suoi sotterranei, nemmeno tanti anni fa, gli ebrei venivano caricati su vagoni piombati.

Ma ormai è soprattutto il panorama della nuova Milano: affacciano qui la Sky lounge e le vetrate del Frecciarossa club. L'accesso ai binari è vietato, controllato a vista da gente in divisa. Qui è tutto lindo: l'ombra si proietta altrove.

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