Cronache

"Qui a Minneapolis pronti alla quinta notte di terrore"

De Bellis, curatore del museo della città: "Razzismo diffuso, la segregazione è ancora una realtà"

"Qui a Minneapolis pronti alla quinta notte di terrore"

«Sentiamo gli elicotteri a bassa quota, sirene d'ogni tipo, rumori di devastazione, urla. Vediamo bagliori d'incendi. Rimaniamo chiusi in casa, ma confesso che siamo spaventati. Ci prepariamo alla quinta notte di terrore. Sono stati messi in campo 2.500 uomini della Guardia Nazionale, il governatore ha detto che alla violenza risponderanno con la violenza».

Vincenzo De Bellis, 42 anni, è curatore e direttore associato del dipartimento Arti visive del Walker Center di Minneapolis, uno dei musei d'arte contemporanea più importanti al mondo. È l'italiano più in vista nella città dove s'è scatenata la guerriglia per la morte di George Floyd, il nero arrestato e schiacciato per quasi nove minuti con un ginocchio da un ufficiale di polizia bianco, Derek Chaivin. De Bellis ricopre il prestigioso incarico dal 2016. Con la moglie, Bruna Roccasalva, (direttore della Fondazione Furla) e il figlio di sette anni, vive nel quadrante Sud, nel quartiere Lake of the Isles, a pochi isolati dal teatro degli scontri. «Molti negozi, la pizzeria che frequentiamo sono stati distrutti e incendiati», dice al telefono. «La preoccupazione è che ci sono state molte irruzioni nelle case, e qui i delinquenti sono armati perché sanno che nelle abitazioni la gente è pronta a rispondere. Vorremmo poter lasciare Minneapolis per qualche giorno, ma è rischioso perché è accaduto di famiglie bloccate in autostrada, fatte scendere, le auto incendiate». Poi parliamo di questa città, che ha conquistato le breaking news mondiali, epicentro di una delle più cruente stagioni di scontri urbani innescati da violenze razziali. L'area metropolitana, compresa la città di St. Paul, sede del governo del Minnesota, conta circa 3,5 milioni di abitanti: «Twin Cities», città gemelle, ma una è protestante, liberal e dinamica, l'altra è cattolica, tradizionalista e stantia. Uno scarto di decenni. Si dice che a Minneapolis si pecca e a St. Paul ci si confessa. «Negli anni Settanta e Ottanta, quelli dove è esploso il fenomeno Prince, Minneapolis era violenta, murder city la chiamavano. Ora è apparentemente sicura», dice De Bellis. In un decennio Minneapolis fondata da coloni svedesi e norvegesi gareggia con le città scandinave più che con quelle americane, per la parità di genere, gli stipendi delle donne (una media di 800 dollari a settimana contro i 620 del resto degli Usa), per gli investimenti nella cultura (secondo Forbes è la città più colta d'America) il numero di librerie, quello di poltrone a teatro superato solo da New York, architetture firmate lungo il Mississippi, da Frank Gerry a Jean Nouvel, la concentrazione di gallerie d'arte e musei, primo tra tutti il Walker. E poi il verde, gli sciami di bici. Insomma uno spot del progressismo sofisticato. «Ma esclusivamente bianco», precisa De Bellis. «La cool Minneapolis galleggia su un razzismo diffuso. Nel mio quartiere ci sono forse due neri. La comunità afroamericana è segregata a Nord Minneapolis, non c'è integrazione. I suburbia sono una roccaforte suprematista, anche se votano democratico. E la polizia, come nel resto degli Stati Uniti, ha una connotazione razzista dominante. Non importa quale presidente ci sia alla Casa Bianca, se è di colore come Obama e quindi magari abusano per ritorsione, o se è reazionario come Trump e quindi si sentono più spavaldi, ma godono sempre d'una impunità quasi assoluta, soprattutto se la loro vittima è un nero. Il 90% degli automobilisti fermati dalla polizia sono neri e così capita spesso il morto, come nel caso di Philando Castile nel 2016, ucciso con sette colpi davanti a moglie e figlia. Se invece, come è accaduto due anni fa, quando un poliziotto di colore ha sparato per errore, nel buio, a una donna bianca anziché al delinquente che la derubava, è stato arrestato all'istante. Nel caso di Floyd, i quattro agenti, nonostante un video, è il caso di dire di schiacciate evidenza, sono stati a piede libero per quattro giorni».

Nella quinta notte di coprifuoco e scontri, a Minneapolis il pugno di ferro e il dispiegamento di forze annunciati dal governatore e dai due sindaci delle Twin Cities sono riusciti a contenere la rivolta e i vandalismi. La polizia ha effettuato arresti e disperso la folla con i lacrimogeni.

Ciò nonostante è stato messo a fuoco uno shopping center e un agente è stato raggiunto da un proiettile di revolver.

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