Politica

Qui non si può cambiare canale

di Andrea Cuomo

L a camorra che spara in ospedale sembra Gomorra che incontra ER, ma è una serie che non vogliamo vedere, nemmeno se alla fine nessuno ci lascia le penne. Ci sono luoghi che devono restare santuari lontani dalla ottusa violenza quotidiana, e uno tra questi è l'ospedale, un luogo in cui si va per essere guariti e non uccisi. E invece nella Napoli che spara non si guarda in faccia a nessuno, il bianco di un camice può tranquillamente insozzarsi di sangue senza che la logica troglodita dei piccoli soldati cresciuti a pane e piombo abbia a soffrirne. La camorra che spara in ospedale è un altro capitolo dell'inferno quotidiano di una città che ormai è divisa in due: una parte sana e maggioritaria che guarda al futuro con speranza e fa di Napoli uno dei luoghi più vitali d'Italia; e una parte che vive un suo eterno medioevo fatto di codici tribali, di protervia, di istinti bestiali. L'episodio del Pellegrini scoperchia una delle tante pentole nauseabonde della Napoli gomorresca, quella in cui gli ospedali sono territorio di conquista dei clan, che trattano il servizio sanitario nazionale come cosa loro. Se un ferito in un agguato ha bisogno di cure non si chiama più il medico compiacente che cura «'o malamente» in un sordido covo di disperati, ma si va direttamente dove ci sono strumentazioni e competenza, scavalcando liste di attesa e azzittendo personale e pazienti con la forza del fatto compiuto, con la predoneria di coloro abituati a considerare tutto come «'o nuosto». Ai clan i medici e le cure, ai pazienti a cui capita semplicemente la disgrazia di un malore o di un incidente, una sedia come letto semmai, oppure le formiche che salgono sul braccio intubato. Gli spari al pronto soccorso del Pellegrini fanno ripiombare Napoli nella vergogna che non merita. Sgualcisce il sorriso per Noemi, la bimba di quattro anni ferita il 3 maggio scorso in una sparatoria tra clan mentre andava a spasso con la nonna, che in un altro ospedale cittadino, il Santobono, lotta per tornare a giocare. Lei si è «scetata», ma c'è un'intera città che ha voglia di «scetarsi».

Perché la vita non è una serie tv, che se non ti piace cambi canale.

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