Renzi in mezzo al guado minaccia le urne: "Dopo di me il diluvio"

Il premier liquida l'astensionismo come "secondario" e sogna le riforme con i transfughi M5S. De Benedetti: "Credo che si voterà in primavera"

Renzi in mezzo al guado minaccia le urne: "Dopo di me il diluvio"

Roma - Uscire dall'angolo, anche impugnando una pistola a salve. Matteo Renzi lancia messaggi alla vigilia del crocevia più rischioso del cammino: quello che vede le riforme arrivare al dunque proprio quando sembra ineluttabile l'abbandono di Napolitano. Un «ingorgo» persino di piani diversi, nel quale conterà non poco l'autunno caldo del sindacato («Tiepido», suggerisce nell'intervista dell'Annunziata a In Mezz'ora ). Non è un segno di forza, quello del premier, nonostante gli sforzi di far contare doppio alcune frecce del proprio arco. Non è vero che «la coalizione di governo sia sempre più fragile, anzi mi sembra che la nostra coalizione venga su con sempre maggiore convinzione», dice. Visione autocentrica, secondo la quale il «calo di fiducia è naturale quando provi a cambiare cose che stanno lì da anni» e, come l'astensionismo emerso in Emilia, «preoccupano ma non sono il centro del problema: fattori secondari... Non colgo dal forte astensionismo il motivo dell'infelicità del Paese».

Renzi avverte altri motivi d'infelicità, tipo il rapporto con la sinistra interna: «Ci fanno le pulci, ma sappiano che l'alternativa non è un'altra sinistra, è una destra lepenista, anche se non ho paura di Salvini». Après moi le déluge , fa capire, e lega se stesso alle riforme e alla fine della legislatura. «Mandarle avanti fino a conclusione mi pare l'unico modo per dare senso alla legislatura». Nel contempo preme affinché il traguardo arrivi un attimo prima delle dimissioni di Napolitano. Per cui «non bisogna tirare i remi in barca, sarebbe sbagliato interrompere tutto in attesa che si dimetta». La pistola fumante delle elezioni - con Carlo De Benedetti che, intervistato da Fabio Fazio, vede «un ritorno alle urne in primavera» - è dunque rivolta verso chiunque voglia mettersi di traverso. In primis Berlusconi, che deve stare ai patti: «È una persona che sta al tavolo ma dopo vent'anni non è lui che dà le carte». Se mugugna sul governo, pazienza: «Anch'io sono molto scontento dei suoi governi». L'inversione dei tempi non ci può essere: prima l' Italicum (prima di Natale in commissione), poi si parlerà di Quirinale.

Il premier sa quanto sia rischioso farsi trascinare ora in una discussione sui papabili. «Sarebbe poco serio farlo prima dell'annuncio di Napolitano e i nomi si fanno per sostenerli o bruciarli», dice non esprimendosi su Amato e provando a scongiurare schemi che convergano su personalità già bocciate, tipo Prodi. Inevitabile pensare all'apertura di sponde in Parlamento con i grillini, anche se occorre vedere «dove va la diaspora». Renzi promette di non fare «campagne acquisti».

Ma «magari» fossero disponibili a fare le riforme con il Pd. «Tutta la vita», dice il premier. Che poi aggiunge: «Ciò che accade nel M5S non resterà senza conseguenze nell'andamento della legislatura». Lo smottamento completo: che tentazione irresistibile.

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