Gli artigiani alzano la voce e le bandiere: «Non è più tempo di scherzare». È scaduto il tempo delle promesse, è il momento delle risposte. «Ci aspettiamo ascolto dal governo» avverte Giorgio Merletti, presidente di Confartigianato davanti a una platea di 1.600 imprenditori arrivati a Milano da tutta Italia. Sono «Quelli del sì», quelli che patiscono i danni del «no» a tutto. Chiedono strade, reti (anche virtuali), flessibilità, una burocrazia non arcigna, una giustizia rapida. Dicono sì all'euro. «Con tutti i suoi difetti ci protegge nel mercato finanziario». Le imprese italiane devono manifestare per dire ciò che altrove sarebbe scontato: le grandi infrastrutture, come le piccole opere, sono fondamentali per far viaggiare le persone e le merci.
È molto di più di una protesta dunque, è una proposta rivoluzionaria, questa logica, in un Paese condizionato dall'ideologia immobilismo e dall'assistenzialismo. «Siamo qui per far sentire la nostra voce - dice Merletti - la voce di centinaia di migliaia di persone che si riconoscono nella bandiera dell'impresa. Ragazzi - spiega - se l'Italia non la sviluppiamo noi non la sviluppa nessuno». Gli artigiani non vogliono fare opposizione, ma la rivoluzione della normalità non tollera certo l'assistenzialismo: «Si deve partire dal lavoro per arrivare al reddito e non viceversa» avverte Merletti ristabilendo anche questa logica, e la sua voce viene sommersa dall'applauso più lungo di tutta la mattinata. E intanto ricorda che sulla «Flat tax» ci sono «attese che speriamo non vengano deluse».
«Vogliamo solo poter la-vo-ra-re» scandisce. E poter lavorare non è cosa di poco oggi in Italia. «Fare impresa in Sicilia è un'impresa» sintetizza il presidente siciliano Giuseppe Pezzati. Nell'isola mancano 300 chilometri di autostrade. Una zavorra. «La mia impresa lavora con pietre in tasca e palle al piede» rende l'idea. E «mal comune non è mezzo gaudio». Le imprese italiane hanno nemici visibili e legittimi, i concorrenti globali, e «nemici invisibili».
Vorrebbero solo lavorare, senza un gap infrastrutturale che ci penalizza in Europa. L'Italia ha una dotazione infrastrutturale inferiore del 19,5% rispetto alla media europea, ma tra il 2009 e il 2017 gli investimenti pubblici sono crollati del 37,7%, con 122mila posti di lavoro persi nel settore delle costruzioni. Nel 2018 gli investimenti pubblici in Italia sono rimasti per 17,1 miliardi sotto alla media dell'Ue.
Le infrastrutture sono il cuore del discorso.
E Confartigianato proprio ieri ha presentato «La caduta», rapporto che quantifica lo spread di investimenti e infrastrutture, facendo il punto su otto opere-simbolo: nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione, Galleria di base del Brennero, Pedemontana Lombarda, Pedemontana Veneta, Terzo valico dei Giovi, Sistema stradario in Sicilia, linea alta velocità Napoli-Bari e il Passante autostradale nord Bologna. E il costo complessivo di queste opere è di 36,8 miliardi di euro, pari alla bellezza di 2,1 punti del Pil italiano.
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