La rabbia dei poliziotti costretti a non reagire: «Noi mandati al macello»

Lo sfogo del leader Sap Tonelli contro la strategia di evitare gli scontri per scongiurare un altro G8 Il vicequestore aggredito: volevano spaccarmi la testa

La rabbia dei poliziotti costretti a non reagire: «Noi mandati al macello»

T anto ci sono loro, quelli che in fondo sono pagati per prendere le botte: i poliziotti. Bisognava stare in mezzo a loro venerdì, e non solo tra i mascalzoni in cappuccio nero, pronti ad aggredire chiunque facesse una foto, a spaccare cineprese, a minacciare. Stare vicino agli agenti del Reparto Mobile, ai carabinieri del Battaglione, ai baschi verdi della Finanza, permetteva di toccare con mano la loro rabbia per venire insultati e aggrediti senza poter reagire. E di vedere da vicino l'aggressione furibonda a uno di loro, Antonio D'Urso, vicequestore, che se li vede saltare addosso nei giardinetti di via Pagano, viene scaraventato a terra, colpito con violenza al corpo e alla testa: «Una volta a terra uno, con la maschera antigas, cercava di spaccarmi la visiera con qualcosa in ferro, l'altro mi colpiva con un bastone. Se non avessi avuto il casco, la conchiglia, i parastinchi e le altre protezioni sarebbe finita molto peggio. Invece sono ammaccato, ma niente di grave», racconta D'Urso, al quale in serata ha telefonato il capo della Polizia Alessandro Pansa, che al Tg5 aveva in precedenza ringraziato i suoi uomini: «Gli italiani devono essere orgogliosi di loro».

Già, zero feriti tra i violenti, D'Urso e altri dieci tra le forze dell'ordine. È un bilancio che la dice lunga su come sia stato gestito il caso Milano. La scelta di evitare che l'inaugurazione dell'Expo si trasformasse in un G8 è stata possibile perché c'è stato qualcuno disposto a prenderle senza reagire. E forse usa parole troppo forti Gianni Tonelli, leader del Sindacato autonomo di polizia, quando dice «ci hanno mandati al macello», perché a stare accanto a loro venerdì, due cose apparivano chiare. La prima: i poliziotti avevano direttive precise. La seconda: erano tutt'altro che impreparati. Erano tanti, allenati, grandi, grossi, protetti, attrezzati, decisi. Se avessero avuto l'ordine di caricare, i rivoluzionari in cappuccio nero sarebbero durati tre minuti. E invece non hanno caricato. In corso Magenta, quando hanno visto avanzare i cordoni, gli agenti schierati a blocco del centro storico sapevano bene cosa stava per piombare loro addosso. Hanno alzato gli scudi, si sono protetti, hanno risposto con i lacrimogeni lanciati a parabola come da regolamento. Fine.

Dopodiché, sono uomini. Quando si sono trovati i black bloc a tiro di voce, hanno urlato anche loro: «Pezzo di merda, vieni qua a dirmelo». E i filmati di youreporter (perché, a differenza dei black bloc, i celerini lavorano circondati da telecamere, sapendo perfettamente che ogni gesto diventerà pubblico) li documentano mentre portano via una ragazza, «prendiamo 'sta stronza, arrestiamo 'sta puttana». Ma persino il web che di solito con loro è implacabile, ieri li difende: «Cosa dovevano dirle, “signorina per piacere ci segua in questura?”».

Intorno alle 17, un drappello di poliziotti entra in via Gioberti, cerca di prendere alle spalle i black bloc. Urlano, si chiamano tra di loro. Potrebbero riuscire prenderli in trappola, ma gli ordinano di fermarsi e di tornare indietro. Obbediscono: indietro, di nuovo sotto gli insulti e i sassi.

di Luca Fazzo

Milano

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