Questo è un viaggio che «comincia dal Kennedy Space Center, dalla piattaforma da cui sono state lanciate molte delle missioni americane. Siamo in Florida e la preparazione del veicolo, lo Space Shuttle comincia molti mesi prima della missione». Così, Umberto Guidoni comincia il suo racconto, durante un evento alle Primavere di Lecco, e ci porta lassù, laddove il fatto di «non avere più un riferimento alto o basso, come siamo abituati ad avere sulla Terra, cambia anche il nostro modo di percepire lo spazio inteso come dimensione intorno a noi». Otto minuti. È quanto dura il viaggio, dalla partenza dello Shuttle all'arrivo alla Stazione Spaziale Internazionale.
Guidoni è un astronauta e un fisico specializzato in astrofisica. Ed è stato il primo italiano e il primo europeo ad arrivare sulla Stazione Spaziale Internazionale. Selezionato dalla Nasa per volare nel 1990 è andato nello spazio due volte: la prima, nel 1996, sulla navetta Columbia; la seconda, nel 2001 (quasi a ricordare il film 2001, Odissea nello Spazio), sullo Space Shuttle Endeavour, un veicolo che è stato usato per moltissime missioni. Lo Space Shuttle è «un veicolo gigantesco, alto come un palazzo di 20 piani». È un veicolo che ha cambiato la storia dei viaggi spaziali, ma non viene più utilizzato. Ma cosa si vede dalla stazione spaziale? Di giorno, dalla Stazione Spaziale, «non si vedono le costruzioni, non si vedono le strade, le autostrade, i porti, gli aeroporti e non si vedono neanche le piramidi. E questo colpisce, perché ci siamo spostati di 400 km, eppure è sufficiente questo per far sparire traccia dell'umanità». Ma di notte le cose cambiano: si vedono «le stelle, le luci delle città, le luci dei grandi insediamenti urbani, le strade, le autostrade». Tutto il resto è scuro e «quando il sole tramonta, intorno alla terra appare un'aureola, una sottile pellicola azzurra che protegge il nostro pianeta. Quello è il cielo. Visto dalla terra sembra non finire mai, visto dallo spazio è appena una pellicola che però è così importante per la vita sul nostro pianeta».
E cosa si prova ad andare lassù? «Di emozioni ce ne sono tantissime, dal momento in cui parti, l'attesa dopo tanti anni. Finalmente ti trovi dentro un veicolo che sai che tra qualche minuto sarai nello spazio». E quando ci arrivi «senti veramente di aver lasciato la Terra dietro di te e di essere entrato in una nuova realtà». E poi c'è la bellezza della terra «è come un paesaggio che si rinnova continuamente». Dall'altra parte c'è il vuoto, «un grande senso di vuoto e ti senti veramente piccolo di fronte al vuoto che ti circonda. Per questo, quando torni, ti verrebbe quasi voglia di abbracciarla la Terra perché è veramente un posto magnifico e noi siamo fortunati ad averlo. E spesso l'umanità non è consapevole di questo dono che abbiamo. Non ci sono pianeti come la Terra, o almeno non ne abbiamo ancora trovati. Speriamo in un futuro di trovarne qualcuno ma al momento è l'unico che abbiamo». E la Luna, perché non ci siamo più tornati? Guidoni dice che «il livello di rischio e l'altissimo livello di spesa, erano insostenibili». Quando Armstrong e Aldrin sono arrivati sulla Luna, «i tecnici della Nasa davano una percentuale di successo del 50%».
Oggi questi rischi non sarebbero sostenibili, spiega.Infatti, «per tornarci abbiamo bisogno di sviluppare tecnologie che siano più affidabili, che siano sostenibili nel lungo tempo». Più sicure. Ma ci torneremo: probabilmente in orbita.
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