Giampaolo Pansa è uno dei grandi maestri del giornalismo italiano. A breve, il 15 settembre, tornerà in libreria con uno dei suoi libri sempre «controcorrente». Questa volta però il tema scelto da Pansa, classe 1935, non è storico, come ne Il sangue dei vinti. Nel suo Vecchi, folli e ribelli. Il piacere della vita nella terza età (edito da Rizzoli, pagg. 308 euro 20) ha deciso di raccontare, attraverso una serie di storie incrociate, il mondo degli anziani. Anche se la parola anziani a lui non piace molto: «Preferisco vecchi, mi sembra una parola più schietta». Ne abbiamo parlato con lui.
Pansa, questa volta si è dedicato a un tema molto diverso da quelli che tratta abitualmente. Perché?
«Perché sono vecchio anch'io. Ho compiuto 80 anni il primo ottobre del 2015. È stato uno spartiacque, mi hanno festeggiato tantissimo e, per carità sono stato contento di questa grande festa, di tutta questa attenzione... Però è stato come attraversare una barriera, sono entrato in un territorio nuovo. E allora mi sono detto: Giampa' occupatene, racconta quello che sei diventato tu. E quando mi sono messo a lavorarci sopra mi sono accorto che dei vecchi non parla nessuno. Che è un grande tabù. E in questo senso, nel rompere un tabù, questo libro non è diverso da Il sangue dei vinti e da altri miei libri, io continuo a fare il rompiscatole, a dar fastidio».
Ma in cosa consiste il tabù?
«Gli anziani sono ormai un pezzo fondamentale della società. Perché consumano, decidono se un prodotto funziona oppure no, perché votano e influenzano la politica in maniera decisiva. Tanto per dire, la Brexit ha avuto successo perché a votarla sono stati gli anziani. Eppure di anziani sui giornali e nei libri si parla pochissimo. Eppure spesso sono gli anziani a comprare i giornali e i libri. Io attraverso le storie che racconto in Vecchi, folli e ribelli cerco di rendere giustizia a un pezzo di mondo, che conta ma che nessuno ricorda».
Faccio l'avvocato del diavolo. Ma non è meglio occuparsi dei giovani?
«Macché, i giovani si arrangino... Dei giovani non me ne frega niente. Quello che va detto è che gli anziani non hanno più il ruolo di una volta nelle famiglie e allora cercano di ritagliarsi altri spazi. Perché no? Anche perseguendo il piacere o un amore in tarda età. E queste situazioni nessuno le racconta. Con esistenze così lunghe e con una vitalità che dura negli anni, è necessario prendere atto che non è possibile considerare gli anziani come soprammobili».
Tu, come spieghi nell'introduzione al volume, dai largo spazio anche alla sessualità nella terza e quarta età. Questo è uno dei tabù più grossi, o sbaglio?
«Io credo che il sesso sia un elisir di lunga vita. Solo che il pensiero corrente riserva la sessualità alla giovinezza. Ma ormai va detto, chiaro e tondo, che è anche una componente della vita degli anziani. Mi sento di dire addirittura che per certi anziani l'unica via può essere il sesso a pagamento, ma fanno bene a praticarlo. Non tutti hanno la possibilità di mantenere una vita affettiva ma almeno quella sessuale nessuno ha il diritto di negargliela... Lo dico brutalmente: non è che è solo un ragazzo di vent'anni che ha diritto di scopare, ce l'ha anche un signore di ottanta. O una signora, e questo è ancora più tabù. È ora di dirlo, di non nascondersi più dietro il perbenismo».
E del tema degli anziani e del lavoro che mi dice?
«Per certe professioni è folle normare per legge. La società è già andata oltre la norma. Il principe del giornalismo italiano è un signore di nome Eugenio Scalfari che è ancora molto attivo. Ha 93 anni ed è ancora lì che rompe e che scrive... Quanto a me, ora come ora, per certi versi mi sento più centrato di quando avevo quarant'anni, ho meno distrazioni».
Non si rischia la guerra generazionale?
«E allora cosa vogliamo fare dei vecchi ancora lucidi e attivi? Li aboliamo per legge? I vecchi non spariranno nemmeno a colpi di napalm. Non si possono chiudere gli occhi di fronte a una Italia che ha i capelli bianchi. Peraltro, spesso sono i vecchi che votano sempre. L'anziano, a certe condizioni, è vincente. A patto che abbia un minimo di disponibilità economica.
Poi c'è l'altro versante: la condizione di chi questa disponibilità non ce l'ha, e deve anche affrontare la solitudine. Io ho deciso di illuminare attraverso le voci narranti dei miei protagonisti, Mario e Elena, questa realtà complicata. Credo ce ne fosse molto bisogno».
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