Che cosa c'è di più triste di un funerale di un ragazzino di sedici anni? Del suo essersi buttato dal terzo piano spinto dalla vergogna perché i finanzieri cercavano nella sua cameretta un pugno di droga senza nemmeno trovarla? Della maglia biancazzurra della Virtus Entella con il numero 15 sulla bara chiara? Di una chiesa mai stata così piccola nemmeno a Natale? Della gente che sciama sulle scale e per i vicoli con l'angoscia al guinzaglio? Forse qualcosa ci sarà ma a noi non viene in mente nulla. Ieri nella basilica di Lavagna in duemila si sono ritrovati per dare l'ultimo saluto a Gio, morto lunedì poche ore dopo che i militari lo avevano sorpreso con dieci grammi di hashish addosso e stavano parlando della faccenda con i genitori. E in questo mercoledì orribile e assolato di un sole che non scalda, in cui il destino ha appena presentato il conto e nessuno sa come pagarlo, la mamma del ragazzo alza la testa e rifiuta il ruolo di vittima. Non accusa, nemmeno i finanzieri che anzi ringrazia, perché era stata lei a chiamarli, ad avvertirli e loro l'avevano ascoltata, e militari in borghese sono in chiesa a pettinarsi la loro parte di dolore; non grida, la donna, ma si sforza di tirar fuori qualcosa di buono da quel volo di dieci metri per dieci grammi di cannabis, di quel conto spropositato pagato all'incomprensione, al non essersi parlati, all'aver cercato la risposta sbagliata, forse, alla domanda giusta.
Vuole dire qualcosa quella donna a tutti quei ragazzi con la tuta della Virtus per cui giocava Gio, e con il gonfalone del gruppo folcloristico a cui apparteneva, e i tanti ragazzini azzittiti che andavano a scuola con lui. «La domanda che risuona dentro di noi e immagino dentro molti di voi è: perché è successo, perché a lui, perché adesso, perché in questo modo? Ma forse la domanda che dobbiamo porci è: come?», chiede con la voce di chi le lacrime le ha consumate tutte dietro gli occhiali da vista. E poi: «Vi vogliono far credere che fumare una canna è normale, che faticare a parlarsi è normale, che andare sempre oltre è normale. Qualcuno vuole soffocarvi. Diventate protagonisti della vostra vita e cercate lo straordinario. Straordinario è mettere giù il cellulare e parlarvi occhi negli occhi. Invece di mandarvi faccine su whatsapp, abbiate il coraggio di dire alla ragazza sei bella». Poi ai genitori: «La sfida educativa non si vince da soli nell'intimità della famiglia, non c'è vergogna se non nel silenzio: uniamoci, facciamo rete». Accanto il marito, che ai giornali aveva detto sconsolato: «Non sono stato un buon padre, non ho capito mio figlio».
Il resto sono scritte sugli striscioni con lo spray («Nessuno muore sulla terra finché vive nel cuore di chi resta»), tanti RIP che i ragazzini magari non sanno che cosa vuol dire ma è il nuovo hashtag del lutto collettivo, e cuori blu ovunque, strazianti come emoticons senza risposta. Sono le parole di don Andrea: «Per tanti era una bandiera e le bandiere per essere animate hanno bisogno di vento».
Sono le polemiche sugli spacciatori fermi come gufi davanti alle scuole italiane, e quelle alimentate da chi cavalca la tragedia per chiedere la liberalizzazione delle droghe leggere (Roberto Saviano) e da chi invece, come i senatori del centrodestra Carlo Giovanardi e Maurizio Gasparri pensa che essa «aggraverebbe ancora di più la situazione delle famiglie italiane».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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