Roma L'aumento monstre della pressione fiscale negli ultimi anni, che ha portato l'Italia a superare la media dell'Unione europea e degli Stati Uniti, non è servita a migliorare lo stato delle finanze pubbliche e a far sì che ci si avvicinasse a un più rigoroso rispetto dei parametri Ue. È quanto ha sottolineato un'analisi del Centro studi di Unimpresa. Gli sforzi per raddrizzare i conti dello Stato, aggiunge una ricerca della Cgia di Mestre, hanno anche una valenza relativa: tra il 2009 e il 2016 solo tre Paesi europei hanno costantemente rispettato il tetto del 3% del deficit/Pil come previsto dal Trattato di Maastricht.
Ma andiamo con ordine. Nel nostro Paese il prelievo erariale è sistematicamente oltre la pressione fiscale nel 2015 è stata pari al 43,8% del pil, in Germania al 39,6, in Gran Bretagna al 34,8 e negli Stati Uniti al 26,4, rileva Unimpresa. Il confronto è impietoso se si analizza la dinamica del periodo 2005-2015. dodici anni fa nel nostro Paese la pressione fiscale era al 39,1% del Pil e il debito pubblico rappresentava solo il 101,9% del prodotto interno lordo (132,7% nel 2015 e 132,8% stimato per l'anno scorso). In Germania la pressione fiscale nello stesso periodo è passata dal 38,4 al 39,6% del Pil e il debito pubblico dal 66,9 al 71,2%, mentre nella media dell'area euro il peso delle tasse è passato dal 39,4 al 41% e il debito degli Stati dal 62,1 all'83,3 per cento. Negli Stati Uniti, il prelievo fiscale è rimasto sostanzialmente invariato (dal 26,3 al 26,4%) mentre il debito è schizzato dal 66,9 al 113,6% del pil Usa. «La pressione fiscale è il principale ostacolo alla crescita economica del nostro Paese» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci chiedendo l'abolizione totale dell'Irap.
Tra i 28 Paesi che compongono l'Unione europea poco più di 1 su 2 (per la precisione 16) l'anno scorso non ha rispettato le regole Ue sui conti pubblici sancite dagli accordi di Maastricht (rapporto deficit/Pil sotto il 3% e debito/pil entro il 60%), ha ricordato invece la Cgia di Mestre. Ad eccezione della Polonia, tra i 12 paesi virtuosi ci sono per lo più stati di piccole dimensioni che rappresentano il 12% del pil Ue. Tra questi anche Malta, Slovacchia, Lituania, Lettonia, Lussemburgo, Bulgaria ed Estonia. Tra il 2009 e il 2016 solo Svezia, Estonia e Lussemburgo non hanno mai sforato la soglia del 3% del rapporto deficit/Pil, mentre Spagna, Regno Unito e Francia hanno violato i parametri di Maastricht 8 volte seguite da Grecia, Croazia e Portogallo con 7. L'Italia lo ha fatto in tre occasioni e in questi anni ha mantenuto un'incidenza media del deficit/Pil al 3,3% contro il -7,9% della Spagna e il 4,8% della Francia.
«Delle due l'una: o le disposizioni previste da Maastricht sono troppo rigide oppure le economie più avanzate d'Europa, dopo tutte le crisi economiche e finanziarie scoppiate negli ultimi anni, non ce la fanno più ad adeguarsi», ha evidenziato Paolo Zabeo, coordinatore dell'Ufficio studi Cgia, sottolineando
che «in entrambi i casi, comunque, è necessario intervenire, introducendo margini di sicurezza per debiti e deficit eccessivi meno stringenti». La fine del Quantitative easing della Bce è infatti una minaccia per il debito.
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