Per cercare di gettare un po' di luce sulla situazione attuale della politica inglese, partiamo dai numeri. Quelli di martedì scorso raccontano che la sconfitta sofferta da Theresa May è stata epocale, la più grave di un primo ministro inglese nell'era moderna. 432 voti contrari e 202 a favore testimoniano di un partito conservatore spaccato a metà, con ben 118 parlamentari che hanno voltato le spalle alla loro leader. I numeri di mercoledì, tuttavia, raccontano di una ritrovata compattezza: di fronte alla mozione di sfiducia presentata dal Labour, i Tory tutti hanno votato a favore del primo ministro: ai conservatori (e agli alleati nordirlandesi che sostengono il governo) fa più paura la prospettiva di un governo Corbyn a forte propulsione socialista che non il caos Brexit.
Rispetto alla quale il partito al governo è spaccato in almeno tre fazioni principali (la Bbc a novembre ne contava addirittura nove). Ci sono gli eccentrici e nostalgici sostenitori di un'uscita senza accordo che, votando contro la bozza, si sarebbero scavati la fossa da soli: secondo Michael Gove, ministro per l'Ambiente e tra i principali alleati di May, proprio perché il no deal è ora un rischio concreto il Parlamento lo bloccherà. Vi è infatti una larga e trasversale maggioranza parlamentare che non vuole un'uscita disordinata dall'Ue. C'è poi la fazione che supporta la bozza di accordo, che conta la maggioranza dei parlamentari conservatori (202 su 315). Theresa May aggiusterà nella prossime settimane il testo senza stravolgerlo, cercando un consenso anche tra i partiti di opposizione. E limitando il raggio d'azione di una terza fazione conservatrice che si è fatta avanti dopo la bocciatura della bozza, quella a favore di un secondo referendum popolare. Ieri Sarah Wollaston, parlamentare tory, ha confermato che presenterà un emendamento in tal senso e ha chiesto al Labour di appoggiarlo. Avrebbe al momento con sé una decina di colleghi di partito ma assicura che il numero crescerà. Quello che non otterrà sarà l'appoggio di Corbyn. La linea del Labour era spingere verso nuove elezioni. Ora che ha perso il voto di sfiducia il leader laburista, rifiutando l'invito di May a collaborare, ha dichiarato che l'opzione no deal deve essere esclusa dal governo prima di aprire un confronto. Una richiesta che Corbyn sa essere irricevibile e che è stata infatti bollata da Downing Street come condizione impossibile, in quanto rimane la leva principale di May per convincere parte dei ribelli a sostenere la bozza. Corbyn non vuole nemmeno appoggiare un secondo referendum, sia perché non ha mai stravisto per l'Ue ma anche perché sa che i parlamentari laburisti eletti nelle circoscrizioni a maggioranza leave non lo seguirebbero.
E il Times ieri riportava come il partito stia valutando se lasciare libertà di voto durante il passaggio parlamentare del piano B. Tutte le opzioni sul tavolo in una sorta di caos creativo. Rimescolare le carte, evitare di prendere parte al caos Brexit. Non una grande strategia per chi si candida a guidare un Paese.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.