Regeni, l'Egitto non collabora L'Italia richiama l'ambasciatore

Come previsto, nulla di fatto nel vertice congiunto tra gli investigatori. Il Cairo non fornisce i dati e mente

Riccardo Pelliccetti

Niente da fare. Anzi, se vogliamo essere schietti, il vertice fra il pool di inquirenti italiano ed egiziano che indagano sulle morte del ricercatore universitario Giulio Regeni, torturato e ucciso al Cairo lo scorso 25 gennaio, è stato un fallimento, tanto che non è stato neppure diffuso un comunicato congiunto alla fine dell'incontro. Insomma, la seconda riunione, dopo quella di giovedì, tra il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone, il pm Sergio Colaiocco, i massimi dirigenti dello Sco della Polizia e del Ros dei Carabinieri con magistrati e dirigenti della polizia del Cairo è stata un perdita di tempo, ma c'era da aspettarselo viste le premesse. I nostri inquirenti sono furiosi e il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha deciso di richiamare l'ambasciatore italiano al Cairo per consultazioni. «La decisione si legge in una nota della Farnesina fa seguito agli sviluppi delle indagini sul caso Regeni e in particolare alle riunioni svoltesi a Roma tra i team investigativi italiano ed egiziano. In base a tali sviluppi si rende necessaria una valutazione urgente delle iniziative più opportune per rilanciare l'impegno volto ad accertare la verità sul barbaro omicidio di Giulio Regeni». Una linea dura, almeno apparentemente, condivisa dal governo. Il premier Matteo Renzi ha scritto su Facebook: «L'Italia si fermerà solo di fronte alla verità». Amarezza per l'esito del vertice è stata espressa dalla famiglia di Regeni che ha apprezzato invece la scelta di Gentiloni: «Siamo certi che le nostre istituzioni non si fermeranno fino a quando non otterranno verita», hanno detto in una nota.

Che ci sia qualcosa di scottante e imbarazzante nella morte di Regeni è ormai scontato e solo la delicatezza della situazione politica interna dell'Egitto può spiegare le enormi difficoltà delle autorità del Cairo nel chiarire la vicenda. Ma per quanto siano importanti le relazioni tra Italia ed Egitto, non si può non sottolineare l'atteggiamento maldestro oltre che poco collaborativo degli inquirenti e del governo egiziani. Il presidente Al Sisi ha tutto l'interesse a risolvere la questione ancora aperta e la speranza del Cairo era quella di poter chiarire agli italiani le ambiguità sul caso Regeni. Ma non è stato così. Già nel primo incontro era emersa la delusione degli inquirenti italiani, che avevano i risultati dell'autopsia e dell'esame del computer del ricercatore italiano. Gli egiziani, dal canto loro avevano solo aggiornato il pool italiano sugli ultimi sviluppi delle indagini svolte dopo il 14 marzo, giorno in cui i magistrati di Roma erano andati al Cairo per un primo confronto sull'inchiesta. Dopo cinque ore di colloqui e scambi di informazioni alla scuola di Polizia di Roma, però, non è emerso nulla di nuovo che potesse dipanare tutti i dubbi e le ambiguità sul delitto.

D'altronde, gli inquirenti egiziani hanno portato montagne di carte che non aggiungono nulla a quello che già si sapeva. Anzi. Il dossier arrivato a Roma è addirittura incompleto. Mancano ancora, per esempio, i tabulati delle utenze telefoniche riconducibili a soggetti egiziani presenti al Cairo nel gennaio scorso, quando Regeni è sparito in circostanze mai chiarite, e neppure i filmati delle telecamere della metro e del quartiere dove viveva il ricercatore. Alla fine la Procura di Roma ha diffuso un comunicato in cui emerge tutta la delusione del pool italiano e che sancisce, di fatto, la fine della collaborazione con le autorità egiziane.

Spiegando i dettagli dell'incontro, i nostri magistrati hanno sottolineato la vicenda del ritrovamento dei documenti di Regeni, dicendo che, a differenza degli egiziani, «solo al termine delle indagini sarà possibile stabilire il ruolo che la banda criminale, coinvolta nei fatti del 24 marzo, abbia avuto nella morte del ragazzo italiano». Ma la procura di Roma va oltre, affermando «che non vi siano elementi del coinvolgimento diretto della banda criminale nelle torture e nella morte di Giulio Regeni». Insomma, nessuno crede alla favola egiziana.

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