Afghanistan in fiamme

Il regime: "Preso il Panshir. Massoud si è dato alla fuga". Ma la Resistenza smentisce

Il regime: "Preso il Panshir. Massoud si è dato alla fuga". Ma la Resistenza smentisce

Mentre i talebani lanciano l'ultima offensiva contro il Panshir, unica provincia libera che resisteva al nuovo regime, a Kabul oggi si formerà il governo dell'emirato islamico che sarà guidato dal mullah Abdul Ghani Baradar.

Le milizie talebane hanno intensificato gli attacchi nella valle del Panshir e ieri sera hanno annunciato di averne il controllo e di aver messo in fuga le forze guidate da Ahmad Massoud, figlio del leggendario «leone del Panshir», che già aveva combattuto contro il primo regime instaurato dagli studenti coranici ed era rimasto ucciso in un agguato. Il Fronte nazionale della resistenza ha smentito però la resa e ha spiegato che si combatte ancora nonostante le vie di comunicazione siano interrotte. Lo stesso vicepresidente Amrullah Saleh, che si era unito a Massoud, dopo la fuga da Kabul, ha ammesso che ci sono state «gravi perdite»

A Kabul, nel frattempo, i giochi per il nuovo esecutivo sono fatti: a capo del governo siederà il mullah Baradar, capo dell'ufficio politico e uno dei fondatori dei Talebani, tornato in Afghanistan dopo 20 anni di esilio. Nella squadra, con posizioni di rilievo, ci saranno anche Mohammed Yaqoob, figlio del mullah Omar (che era un amico stretto di Baradani), e Sher Mohammed Abbas Stanekzai. Niente donne, naturalmente. Il nuovo esecutivo, composto esclusivamente da Talebani, sarà varato oggi.

Il mondo, intanto, si interroga su quale approccio avere con il nuovo regime islamico di Kabul. Londra non ne vuol sapere di riconoscere i Talebani al potere, limitandosi ad affermare che terrà aperti solo i canali per aiutare gli afghani in difficoltà. Sull'altra sponda dell'Atlantico, invece, si parla di possibile collaborazione con il nuovo emirato afghano, quanto meno sul fronte terrorismo. Il capo di Stato maggiore dell'esercito americano, il generale Mark Milley, ha infatti affermato in una conferenza stampa al Pentagono, che le forze statunitensi potrebbero coordinarsi con quelle talebane per condurre missioni antiterrorismo contro l'isis e altre frange islamiste. Una posizione che riflette in parte quella della Nato. «Non sono i Talebani a preoccuparci, ma l'Isis», ha detto l'alto rappresentante per l'Alleanza Atlantica in Afghanistan Stefano Pontecorvo. «I Talebani ha spiegato devono dimostrare di avere la situazione sotto controllo e non ce l'hanno. La priorità ha aggiunto è dialogare con tutti e riaprire le ambasciate. Non ci sono le necessarie condizioni di sicurezza e l'Isis è una minaccia reale». L'Unione europea, dal canto suo, si muove con i piedi di piombo. Joseph Borrell, responsabile della politica estera Ue, ha sottolineato che l'Unione resta impegnata «nel sostegno della popolazione afghana e per sostenerla ci dovremo impegnare con il nuovo governo in Afghanistan, ma questo non significa riconoscimento. Si tratta di un impegno operativo - ha spiegato che potrà aumentare sulla base del loro comportamento». Borrell ha però elencato una serie di cinque condizioni: Il Paese non deve servire come base per esportare il terrorismo, il rispetto dei diritti umani e dei diritti delle donne, lo stato di diritto e la libertà di stampa, un governo di transizione inclusivo, favorire il libero accesso degli aiuti umanitari e la partenza di cittadini stranieri e afghani che vogliono lasciare il Paese».

Condizioni basilari per una nascente democrazia, quindi è altamente improbabile che i Talebani le accettino.

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