Regionali, a vuoto il secondo vertice. Resta il nodo Veneto

Meloni, Tajani, Salvini e Lupi non trovano l'intesa. Le perplessità sulla Lista Zaia

Regionali, a vuoto il secondo vertice. Resta il nodo Veneto
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da Roma

L'intesa deve davvero essere lontana se ancora una volta il centrodestra non è riuscito neanche a formalizzare le tre candidature sostanzialmente scontate della prossima tornata di regionali che vedrà andare alle urne entro fine anno cinque regioni. Eppure - come già accaduto dopo la riunione a Palazzo Chigi di mercoledì scorso - Giorgia Meloni, Antonio Tajani, Matteo Salvini e Maurizio Lupi non trovano la quadra. E quindi decidono di soprassedere anche sulla formalizzazione, scontata, della ricandidatura del governatore uscente Francesco Acquaroli (Fdi) nelle Marche, così come delle corse - quasi certamente a perdere - di Mauro D'Attis (Forza Italia) in Puglia e Alessandro Tomasi (Fdi) in Toscana.

Tutto bloccato. Nonostante al termine del vertice serale - che si è tenuto a casa della premier - il centrodestra ci tenga a far sapere che la riunione si è svolta in un clima di "grande cordialità". "Si è iniziato a ragionare in modo costruttivo sui candidati con l'obiettivo - recita una nota congiunta - di individuare figure autorevoli e vincenti".

Con un dettaglio: non si scioglie il nodo del Veneto. Sotto un duplice profilo. Il primo è che Meloni non vorrebbe rinunciare alla regione e continua a coltivare l'idea di un candidato di Fdi o comunque chiaramente riconducibile al partito di via della Scrofa (una soluzione sulla falsariga di Francesco Rocca nel Lazio). Uno scenario che non piace affatto a Salvini e che deve tener conto anche dei desiderata di Zaia, visto che il Doge continua ad avere un peso elettorale importante nella regione che ha governato per 15 anni. Pur di portare a casa il Veneto, la premier sarebbe disposta a concedere contropartite sia alla Lega che a Zaia. Con un solo limite: nessun rimpasto che costringa il governo a tornare alle Camere per una nuova fiducia. Il secondo profilo riguarderebbe invece proprio la Lista Zaia. Che, qualunque sia il candidato del centrodestra, sembra non convincere troppo i leader della maggioranza.

Al di là delle dichiarazioni di circostanza e delle note ufficiali, è chiaro che il meccanismo è al momento inceppato. A testimoniare la delicatezza del momento, d'altra parte, esattamente come dopo la riunione di mercoledì scorso, le ore che ieri hanno preceduto il vertice sono state caratterizzate da una sorta di silenzio tombale. Con una sola consegna ai rispettivi partiti da parte di Meloni, Tajani e Salvini: massima discrezione.

Non formalizzando le tre regioni su cui già di fatto esiste un accordo e non trovando la quadra in Veneto, resta ovviamente aperta la partita in Campania. Il quadro, però, rispetto alla settimana scorsa si è ulteriormente complicato. Alle candidature per le regionali si è infatti aggiunto il caso Milano, dove l'inchiesta sull'urbanistica che ha colpito Giuseppe Sala apre a scenari fino a poco tempo fa impensabili. Nonostante ieri il sindaco abbia detto di voler andare avanti, nel centrodestra milanese continuano infatti a non escludere che nei prossimi mesi la situazione possa precipitare. Tanto che ieri la Lega ha ribadito che "il centrosinistra dovrebbe consentire ai milanesi di tornare al voto". E quanto l'ipotesi di elezioni a breve sia concreta lo dimostrano anche le parole di Tajani. Che lancia un appello a Carlo Calenda ipotizzando un "candidato civico" per intercettare il voto della "borghesia produttiva e del mondo riformista". Soluzione che ovviamente non accende affatto gli entusiasmi di Lupi, visto che il leader di Noi moderati sarebbe pronto a correre in prima persona per Palazzo Marino, peraltro con il placet di Fdi.

A metà pomeriggio, invece, a Palazzo Chigi si era affacciato

Massimiliano Fedriga, governatore del Friuli Venezia Giulia e presidente della Conferenza delle regioni. Ovviamente non per parlare di candidature, ma per affrontare dal punto di vista tecnico la questione dei bilanci delle regioni.

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