Coronavirus

Le Regioni in pressing per cambiare parametri. Ma 17 sono in allarme per le terapie intensive

Oggi il tavolo col governo, l'idea di "strette" provinciali. Rianimazioni alla soglia critica

Le Regioni in pressing per cambiare parametri. Ma 17 sono in allarme per le terapie intensive

Troppi parametri e poco chiari. Prosegue il braccio di ferro tra governo e regioni sui criteri di assegnazione delle zone di rischio. E anche se l'esecutivo sembra deciso a non retrocedere oggi alle 16 è stato fissato un incontro con tutti i governatori dal ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia. A fianco di Boccia anche il ministro della Salute, Roberto Speranza, e il presidente dell'Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro. Entrambi ribadiranno quanto già detto nei giorni scorsi, ovvero che i 21 indicatori sono necessari e non è possibile ridurli come chiesto dalle regioni che invece vorrebbero limitarli a 5 e velocizzare il sistema che permette di passare da una fascia di rischio più alto, rosso, ad una di rischio inferiore, arancione o giallo.

Il sistema dei 21 indicatori prevede la massima precauzione e un meccanismo automatico che fa scattare da un giorno all'altro il passaggio nella fascia di rischio più alto ma richiede almeno due settimane di tempo con parametri in miglioramento per scendere al rischio più basso. Facile salire, faticoso scendere. Proprio per questo un modo per andare incontro alle richieste dei governatori potrebbe essere quello di creare zone di colore differenziato all'interno delle regioni a livello comunale o provinciale. Proprio ieri il governatore della Puglia (arancione), Michele Emiliano, ha chiesto di inserire «i territori delle province di Foggia e di Bat in zona rossa, in quanto caratterizzati da uno scenario di massima gravità».

Di fronte alle rivendicazioni delle regioni Boccia replica che i 21 parametri poi «sono gli stessi su cui la cabina di regia ha lavorato da maggio, indicatori a garanzia della tutela della salute di tutti noi, sono oggettivi: non possiamo politicizzarli». Sistema difeso dal premier, Giuseppe Conte perchè, dice «consente interventi mirati e misure restrittive ben dosate». Ma i governatori mordono il freno con Giovanni Toti che dalla Liguria parla di dati in netto miglioramento tanto da ipotizzare la chiusura dei primi reparti Covid in tempi brevi.

E a soffrire in questo momento sono in particolare le terapie intensive al collasso ovunque con una media di occupazione di posti letto da parte di pazienti Covid del 42 per cento, ovvero del 12 per cento oltre la soglia critica fissata dal ministero della Salute al 30. Dati segnalati dall'Agenzia per i servizi sanitari Agenas che evidenzia che ben 15 regioni oltre alle province Autonome di Trento e Bolzano sono abbondantemente sopra la soglia critica. In crisi anche i reparti di medicina occupati al 51 per cento da pazienti Covid.

Che cosa chiederanno i governatori? Ieri il presidente della Lombardia, Attilio Fontana ha ribadito che le regioni vogliono «meno parametri e più semplici da interpretare» perché non si capisce «come vengano tramutati in un numero, in una valutazione». Poi sempre secondo Fontana non si deve guardare «ai dati di 15 giorni fa ma alle previsioni future: dobbiamo discutere sulla base di dati aggiornatissimi». Per Fontana visto che l'Rt «è sceso in maniera sostanziale» in base ai numeri la Lombardia dovrebbe già rientrare «in zona arancione» ma in base alle regole stabilite nell'ultimo Dpcm «fino al 27 novembre resteremo in zona rossa».Anche il presidente del Piemonte, Alberto Cirio contesta il sistema. «Chiediamo di creare un meccanismo che sia più facilmente comprensibile anche dall'opinione pubblica, ancorato a valutazioni scientifiche e mediche ma nello stesso tempo più chiaro nella percezione delle persone».

Cirio condivide «il meccanismo delle finestre di contenimento per cui il passaggio da una zona all'altra va mantenuto nel tempo».

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