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Le regole cervellotiche che la riforma Cartabia impone agli avvocati

Caratteri, margini e font: obblighi minuziosi. Ma Nordio non può fermare il decreto

Le regole cervellotiche che la riforma Cartabia impone agli avvocati

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La domanda è: quali sono i «caratteri di tipo corrente»? Adesso che il ministero della Giustizia pretende di dettare agli avvocati i caratteri tipografici da utilizzare per scrivere gli atti, molti professionisti si chiedono: sarà meglio il Bodoni o l'Helvetica? Se uso l'Itc mi respingono la memoria difensiva? E l'imposizione dei caratteri «di tipo corrente» non è l'unico obbligo cui i legali dovranno sottostare nel nuovo corso della giustizia civile, ultimo lascito della ministra Marta Cartabia: di cui ora il successore Carlo Nordio non può che eseguire la riforma. Che insieme a importanti passi avanti nello snellimento dei processi prevede una serie di regole puntigliose cui gli avvocati dovranno sottostare.

Il documento è stato inviato da Nordio al Consiglio nazionale forense, l'organismo centrale dell'avvocatura, chiedendo di formulare un parere: ma di formularlo in fretta, perché il 30 giugno il decreto deve acquistare efficacia «al fine di dare la necessaria attuazione agli impegni assunti con il Piano nazionale di ripresa e resilienza», il famoso Pnrr. Per evitare che l'Europa non revochi i fondi, serve che le norme volute dalla Cartabia diventino efficaci a tutte gli effetti: comprese quelle che riguardano i caratteri di stampa e gli altri criteri che il decreto inviato da Nordio elenca un per uno, con un effetto inevitabilmente un po' comico. E nelle chat dell'avvocatura questo effetto viene sottolineato.

«Salve le esclusioni e le deroghe previste dagli articoli 4 e 5 - si legge - l'esposizione è contenuta nel limite massimo di 50.000 caratteri, corrispondenti approssimativamente a 25 pagine nel formato di cui all'articolo 6»: eh sì, perché anche il formato della pagine è rigidamente regolamentato.

Infatti: «Gli atti sono redatti mediante caratteri di tipo corrente, preferibilmente: a) utilizzando caratteri di dimensioni di dodici punti; b) con interlinea di 1,5; c) con margini orizzontali e verticali di 2,5 centimetri». Certo c'è quell'avverbio, «preferibilmente», che smoscia un po' la portata del diktat, ma intanto la linea (e anche l'interlinea) è dettata. Anche se non è chiaro chi dovrà occuparsi, righello alla mano, di verificare se i margini siano proprio di due centimetri e mezzo.

E non è tutto: gli avvocati (chissà perché) non potranno inserire nei loro atti note a piè di pagina, ma qui il comma 2 dell'articolo 6 del decreto infila una serie di deroghe di comprensione non facile. Il tetto di cinquantamila caratteri (ma «nel conteggio del numero massimo di caratteri non si computano gli spazi») vale solo per alcuni atti, come le citazioni e le conclusioni; per gli altri - memorie, repliche eccetera - bisognerà stare sotto i venticinquemila caratteri.

E se la materia, come purtroppo accade, è così complessa da non stare in venticinque pagine? Anche qui parte l'eccezione, in base «alla tipologia, al valore, al numero delle parti». Ma l'avvocato dovrà spendere una parte degli spazi per spiegare perché gli spazi non gli bastavano. In quel caso dovrà aggiungere l'indice «preferibilmente con collegamenti ipertestuali» e «una breve sintesi», in modo tale che il giudice se è di fretta possa leggersi solo quella.

Già, e i giudici? Valgono anche per loro, le regole stringenti imposte agli avvocati? Un po' sì e un po' no: «il giudice redige i provvedimenti in modo chiaro e sintetico, nel rispetto dei criteri» degli articoli precedenti, compresi quelli sul tipo di font, sui margini e sugli interlinea, ma solo «in quanto compatibili». Compatibili con cosa, non si dice.

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