Mentre Matteo Renzi apre la Direzione del Pd a largo del Nazareno, Maria Elena Boschi - duecento metri più in là - riceve nei suoi uffici a largo Chigi i pm di Potenza che inseguono fin nei palazzi romani l'emendamento Tempa Rossa. Il premier non cambia linea, anzi la indurisce: «Se in questo Paese sbloccare le opere, quelle che producono investimenti e lavoro, è un reato, bene: io l'ho commesso. E continuerò a commetterlo, perché sbloccare gli investimenti pubblici o privati è una delle priorità di questo governo». E, come aveva già fatto domenica in tv da Lucia Annunziata, Renzi si prende tutta la responsabilità sul caso del petrolio lucano e della legge che è servita a riavviare: «un'opera bloccata dal 1989, quando c'era ancora il muro di Berlino: lo scandalo non è che si sia approvato quell'emendamento, ma che per 27 anni si siano perse opportunità». E usa parole aspre sull'operato della magistratura locale: «Chiedo loro non solo di indagare il più velocemente possibile, ma di arrivare a sentenza. Ci sono inchieste della magistratura a Potenza con la cadenza delle Olimpiadi, e non si è mai arrivati a sentenza». Ne approfitta subito l'ex magistrato Michele Emiliano, governatore di Puglia e capopopolo del fronte referendario no-triv, per rinfacciargli che proprio mentre il premier parlava, una delle innumerevoli inchieste petrolifere lucane («proprio sul Centro Oli di Viggiano») è arrivata alla sentenza di condanna. «Peccato che tra quattro mesi ci sarà la prescrizione, mi stupisce che un magistrato autorevole come te non lo sappia», ribatte Renzi. Il quale, nella replica, aggiusterà il tiro: «Non è vero che ho attaccato i magistrati, ho chiesto di arrivare a sentenza. Servono quelle, non le indiscrezioni sui giornali. Se c'è un ladro, va fermato quello, non le opere. Noi siamo a disposizione per qualsiasi chiarimento sulle scelte del governo».Il clima da assedio giudiziario però ha agito come un viagra sulla minoranza interna che, alla vigilia del referendum e delle amministrative, intravede la chance di dare un calcio negli stinchi a Renzi e quindi rigetta l'invito alla compattezza - almeno in campagna elettorale - fatto nei giorni scorsi dal gruppo dirigente. E così ieri Gianni Cuperlo e Roberto Speranza, leader di due delle correnti ex Pci e anti-premier, si sono presentati con facce ferocissime all'appuntamento, impegnandosi in una gara a chi le canta piú forti. Cuperlo riesce ad andare per primo al microfono e affonda: «Tu non fai le riforme che sarebbero necessarie, non ti stai mostrando in questa fase all'altezza del ruolo che ricopri. Non mostri la statura di un leader, anche se a volte coltivi l'arroganza dei capi». Speranza, quando finalmente conquista il podio, tenta di superare Cuperlo a sinistra: «Prendi coscienza - grida accorato al premier - che c'è un popolo intero di sinistra che non capisce più dove stiamo andando. Ci saranno le amministrative, il referendum, e dobbiamo provare a dar loro risposta». Di lì a poco i due verranno battuti con 98 voti pro Renzi contro 13 a loro favore, ma intanto la dichiarazione di guerra è sul tavolo e il premier è avvertito: in campagna elettorale la minoranza remerà contro, anche sul referendum no-triv.
Renzi ribadisce la linea pro-astensione, cita Prodi secondo cui il quesito è «un suicidio», ma lascia libertà di voto: «Volete dire sì all'abrogazione di quella norma? Fatelo». Peccato, ricorda agli esponenti della minoranza, «che l'abbiate votata voi, in Parlamento».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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