Su cosa accadrà in caso di vittoria del No, Matteo Renzi si mostra più abbottonato del solito e cita Lucio Battisti: «Lo scopriremo solo vivendo. Ma credo che questo referendum possa segnare davvero il cambiamento, e questo governo è nato per cambiare». Se poi la riforma fosse bocciata, «verificheremo la situazione politica», glissa il premier.
Ma un messaggio chiaro lo manda: «Io non sono adatto a fare governicchi e inciuci. Se si cambia ci sono, se si torna alla grande accozzaglia per galleggiare, il paese lo gestiscano i leader del No». Non ci starà a «farsi rosolare» a Palazzo Chigi, come vorrebbero anche i suoi nemici interni al Pd, quelli che «hanno votato Sì in Parlamento e ora sono per il No per ragioni personali: una pagina di desolazione della politica», dice durissimo.
Renzi rifiuta di giocare quella che chiama «la carta della paura». Certo, «Bankitalia fa il suo mestiere» nel sottolineare «la fisiologica fibrillazione dei mercati davanti a possibili novità», ed è ovvio che «con le riforme il Pil salga, e senza salga lo spread». Ma «il nostro compito non è di spaventare, ma di dare motivazioni forti per un Sì».
La conferenza stampa a Palazzo Chigi è indetta per celebrare i mille giorni del suo governo («Solo Berlusconi e Craxi sono durati di più»), infilata a viva forza in un'agenda fittissima: ieri mattina Renzi era a Berlino, a tavola con Obama, Merkel, Rajoy e May. Nel primo pomeriggio a Roma per un convegno di Area Popolare sulle riforme. Subito dopo la conferenza stampa, lo aspettava un aereo per Bari. In piedi accanto alle bandiere («Ci sono tutte e due», sottolinea indicando il vessillo europeo accanto al tricolore), Renzi illustra le slide in cui ha fatto sintetizzare alcune cifre simbolo: l'occupazione che sale («Il Jobs Act è la legge che ha prodotto i risultati più concreti, 656mila posti di lavoro in più»), il Pil tornato in zona positiva, le 157 crisi occupazionali risolte, l'aumento del 3% dei consumi («Con un caloroso abbraccio a chi diceva che gli 80 euro non avrebbero funzionato»). Ma è la scadenza ormai ravvicinata del referendum che ora prevale su tutto, e che dà all'evento il sapore di un bilancio da tirare prima della resa dei conti: «Questo governo è nato per fare la riforma. Ora la parola sta ai cittadini, noi il nostro dovere lo abbiamo fatto». Renzi si mostra ottimista: «I sondaggi danno in testa il No? Potrei buttarla in ridere ricordando che ultimamente i sondaggi non ci azzeccano mai. Ma io vedo una partita aperta, con un numero enorme di indecisi, e sono convinto che la maggioranza silenziosa sceglierà sulla base del quesito, non su altro».
Anzi, azzarda, «ci sarà una partecipazione al voto molto più ampia del previsto: 25-30 milioni che andranno a dire se vogliono un'Italia che cambia o invece tenersi le cose come stanno». E punta tutto su quest'ultimo scampolo di campagna elettorale: «Sono i quindici giorni che aspettavamo da decenni, e possono essere una bellissima occasione».
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