Politica

Renzi, due milioni in fuga

Il premier canta vittoria ma il vero sconfitto è il Partito democratico: rispetto alle Europee dell'anno scorso c'è stata un'emorragia di consensi. L'effetto Matteo ormai è svanito

I l Pd risulta il grande sconfitto di queste elezioni. Ha perso rispetto all'anno scorso più di due milioni di voti. È vero che nel frattempo è diminuita la partecipazione e che questo dato non tiene conto delle «liste del Presidente». Ma, come osservano (...)

(...) Passerelli e Tronconi (nella analisi dell'Istituto Cattaneo, al solito, tempestiva e accurata), la rilevanza di queste ultime è, tranne che in Puglia, relativamente limitata. L'effetto Renzi sembrerebbe essersi dunque molto attenuato. Il Pd ha certo ceduto voti alle astensioni, oltreché in Liguria alla lista alternativa della sinistra del partito.

Ma anche il Movimento 5 Stelle, che pure ha «tenuto» in elezioni molto difficili per questa forza politica, ha perso voti: quasi 900mila rispetto all'anno scorso. Grillo non è riuscito sin qui a mobilitare tutto il voto di protesta che, in parte, si è rivolto, come si è detto, alle astensioni e, in una certa misura, alla stessa Lega.

Un altro perdente è Forza Italia (con un'erosione di quasi 700mila voti). Anche il successo ligure (in questa Regione, Forza Italia ha perso quasi 40mila voti) è legato in larga misura all'exploit della Lega (ancora in Liguria, un incremento di 66mila voti).

Salvini appare il grande vincitore di queste elezioni. La Lega è l'unica tra le grandi forze politiche ad avere aumentato i consensi rispetto all'anno scorso, con una crescita di oltre 160mila voti. Che avrebbe potuto essere ancora maggiore se Salvini non avesse subito la contrazione in Veneto. È vero che la Lega qui ha stravinto, ma è vero al tempo stesso che ha perso 36mila voti rispetto all'anno scorso, evidentemente a causa di Tosi.

La Lega è comunque la forza maggioritaria del centrodestra. Come osserva ancora l'Istituto Cattaneo, oggi all'interno del centrodestra i votanti della Lega rappresentano i due terzi, quando solo l'anno scorso erano un terzo. È probabile che, nelle prossime settimane, Salvini cercherà in tutti i modi di far valere questa diversa situazione.

In definitiva, malgrado questo test abbia riguardato solo sette Regioni - una parte più che limitata del territorio nazionale - possiamo trarre la conferma della riaffermazione del carattere tripolare della competizione politica in Italia. Si tratta di una relativa novità per il nostro Paese, a somiglianza, tuttavia, di quanto è accaduto in diversi altri contesti europei, caratterizzati anch'essi dalla crescita di partiti al di fuori della logica destra-sinistra, com'è, nel nostro caso, il Movimento 5 Stelle.

Anche sulla base di questa considerazione, i dati delle Regionali di domenica suggeriscono che comunque il Pd rimanga ancora oggi il primo partito italiano, ma che, nel caso di elezioni nazionali regolate dall'Italicum, non potrebbe vincere al primo turno e sarebbe costretto al ballottaggio. Avendo come avversario possibile il Movimento 5 Stelle.

Ma bisognerà tenere conto della crescita delle astensioni. Citate da tutti, vengono però frettolosamente liquidate con frasi del tipo «occorre riflettere» o «bisogna tenerne conto», senza poi naturalmente farlo. Invece la crescita delle diserzioni dalle urne è un indicatore fondamentale per capire l'evoluzione del nostro elettorato. Un tempo, buona parte delle astensioni erano definite «necessarie», legate cioè a impedimenti concreti come malattie o difficoltà dovute all'età o simili. A partire dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso si è venuta accrescendo la categoria delle astensioni per disinteresse - o talvolta per disgusto - dalla politica. Oggi si è incrementata fortemente una terza categoria di motivazioni del non voto che Carlo Carboni (sul Sole-24 ore di domenica) ha definito «astensioni di opinione»: in questo caso, non si va a votare non tanto o non solo per la disaffezione verso la politica in generale, quanto per l'insoddisfazione verso le posizioni del partito politico che si è scelto sino a quel momento o, più in generale, verso l'insieme dell'offerta delle forze politiche. Ciò non significa che ci sia, come viene detto spesso erroneamente, un «partito degli astenuti». Ma certo l'assenza dalle urne raccoglie - oggi molto più che un tempo - opinioni politiche relativamente precise.

Ciò significa che le astensioni rappresentano un vero e proprio «mercato elettorale». Che può essere oggetto di conquista di chi sappia nuovamente mobilitare e attirare questi strati di cittadini. Renzi si era ripromesso di farlo, senza esserci riuscito. E anche il Movimento 5 Stelle non è riuscito a mobilitare più di tanto il vasto esercito degli astensionisti.

Che rappresentano oggi circa la metà della popolazione. La soglia del 50% di votanti sotto la quale, secondo alcuni, la stessa democrazia è messa in discussione, è stata oltrepassata in Toscana e nelle Marche, un tempo Regioni simbolo della partecipazione, e al 50% di votanti sono molto vicine la Liguria, la Campania e la Puglia.

Le maggiori differenze di partecipazione rispetto alle Europee dell'anno scorso si sono avute proprio in Toscana, in Umbria e nelle Marche. Un indice forse del disagio maggiore esistente in quella che una volta era considerata la «zona rossa». In Toscana - che pure è la Regione di Renzi - la percentuale del non voto aggiuntivo sfiora addirittura il 20%. Differenze minori rispetto al 2014 si rilevano al Sud, in Campania e Puglia. Qui però il crollo della partecipazione si era già manifestato - più che altrove - in occasione delle Europee e, in queste Regioni, il dato di quest'anno conferma il livello della partecipazione dell'anno scorso.

In media, nelle sette Regioni interessate al voto, la partecipazione è stata del 52%, con un calo rispetto alle Europee di quasi il 10%. Un'enorme quantità di popolazione che ha voluto manifestare così la propria insoddisfazione verso l'offerta dei partiti. Ma che, come si è detto, potrebbe costituire un grande mercato potenziale per future consultazioni.

Si apre dunque la gara per la riconquista dell'elettorato astenuto «di opinione».

Senza dimenticare però che, in fondo, una limitata partecipazione può sembrare conveniente a qualche politico: meno persone si recano alle urne, più facile è conquistare l'elezione, anche con un numero limitato di voti.

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