«Tanto tuonò, che non piovve». Ribaltando l'antico adagio, il senatore democrat Stefano Esposito sintetizza in una frase l'exploit della maggioranza al Senato, che dopo settimane di tam tam sulla crisi imminente del governo Renzi per mancanza di numeri a Palazzo Madama ha smentito le previsioni.
Il provvedimento sugli Enti locali, che richiedeva per essere approvato una maggioranza assoluta di 161 senatori, viene varato con 184 voti: uno dei risultati più alti mai raggiunti nella legislatura. Di quel 184, bene 167 (quindi largamente sopra la soglia di sopravvivenza) sono interni alla maggioranza di governo, Pd più Ap più Scelta Civica. Gli altri voti, aggiuntivi, sono arrivati dal drappello verdiniano di Ala e altri gruppetti. Tabulati alla mano, 112 sono stati i voti di senatori Pd, 17 delle autonomie, 29 di Ap (su 31, con due senatori assenti giustificati), 6 di senatori del misto e 3 di Gal. A questi voti si aggiungono quelli favorevoli di 13 (su 18) esponenti di Ala, delle tre senatrici di Fare del senatore Maurizio Rossi. Per un totale, appunto, di 184 voti a favore del governo. «Nessuno qui ha voglia di crisi, e tantomeno di elezioni anticipate», chiosano a Palazzo Madama.
Il drappello di Ncd, dopo i minacciosi ondeggiamenti delle scorse settimane, sembra essersi ricompattato come una falange macedone (anche grazie a ben mirate pressioni sui «dissidenti» che ricoprono incarichi di responsabilità grazie alla maggioranza) a sostegno della maggioranza, e dello status quo. Tanto che proprio il suo presidente Renato Schifani, dato nelle scorse settimane dai retroscenisti come uno dei capifila della fronda anti-alfaniana (e anti-renziana), è il primo a celebrare lo scampato pericolo e la testimonianza di lealtà data dai centristi di governo: «Da Ap ci sono stati 29 voti a favore su 31, con due assenti ampiamente giustificati. Se questi sono i numeri di un agguato...». In effetti, non lo sono. Anche se la maretta interna a Ncd è tutt'altro che sopita, come dimostrano i malumori registrati nell'assemblea dei senatori centristi che si è tenuta ieri sera alla presenza di Angelino Alfano. E come dimostra la protesta messa agli atti dal capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto ieri proprio contro quella che riteneva una «anomala» riunione: «Esprimo il mio dissenso rispetto all'assemblea dei senatori Ncd che si svolgerà questa sera non su questioni specifiche riguardanti il loro lavoro ma su problemi politici generali sui quali sarebbe invece auspicabile una riunione congiunta fra i due gruppi», ha messo agli atti.
Di certo, però, allo stato nessuno ha intenzione di scaricare sul governo Renzi la tensione interna a Ncd, tra chi ritiene urgente riaprire il dialogo con il centrodestra e chi vede come prospettiva l'alleanza organica con il centrosinistra. Nel Pd, del resto, si respirava assoluta tranquillità sul voto di ieri già da diversi giorni. «Nessun rischio: sulla carta, contiamo su almeno 165 voti sicuri», spiegavano ieri mattina dal gruppo a Palazzo Madama. Previsione sbagliata per difetto. «Al Senato dice il capogruppo democrat Luigi Zanda c'è una maggioranza limitata ma molto responsabile, attenta, che segue i lavori d'aula. Quello di oggi - aggiunge- era un voto delicato, ma erano tutti presenti. Si tratta di un buon risultato: un voto che può essere paragonato ad un voto di fiducia, e per questo senso assume maggiore forza dal punto di vista politico».
Matteo Renzi non commenta: del resto il premier era più che certo della tenuta della maggioranza già da giorni. Ma ieri ha incassato con soddisfazione anche un altro risultato: il naufragio della raccolta firme del Comitato per il «No» al referendum, che ha fallito (e di parecchio) l'obiettivo.
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