Il governo italiano si è ritrovato in guerra a sua insaputa. L'irritazione del premier Matteo Renzi, prima relegata ai retroscena ieri è diventata più esplicita, con dichiarazioni di parlamentari vicini al premier. Renzi non ha parlato, ma rispetto ai giorni scorsi si è mostrato ancora più prudente. Ai suoi collaboratori ha fatto capire che per l'Italia le priorità per il momento sono diplomatiche. «I venti di guerra lasciamoli da parte, non inseguiamo in alcun modo l'agenda dei media che hanno già messo elmetto e scarponi». La nuova linea è: «Grande senso di responsabilità, come deve fare un grande Paese come l'Italia», silenzio fino a quando non torneranno le salme dei due italiani morti in Libia. E respingere le ricostruzioni di questi giorni, definite «improvvide, irresponsabili accelerazioni».Di fatto una marcia indietro rispetto ai piani di intervento filtrati nei media, decisa anche alla luce dei sondaggi che sono chiarissimi. Gli italiani non vogliono nostri soldati nel teatro di guerra libico.A dare un'idea precisa dell'aria che tira a Palazzo Chigi è Nicola Latorre, presidente della commissione Difesa del Senato e solidamente renziano.
L'impegno militare non c'è «sia nell'immediato e sia in un secondo momento», ha detto a Skytg24. È il Renzi pensiero, non la semplice presa di posizione di un parlamentare Pd. Confermato dal capo di stato maggiore della Difesa generale Carlo Graziano, «assolutamente sorpreso per le ricostruzioni giornalistiche che continuano a imperversare». Il premier teme gli effetti della guerra. Quelli reali, le inevitabili perdite di una missione che comporterà vittime. Quelli politici, in vista delle elezioni amministrative con consensi che sono già in costante calo. Infine quelli diplomatici. L'intervento a guida italiana è un impegno che rischia di costare molto, per un risultato che rischia di essere nullo.La strategia dell'Italia è quindi quella di aspettare. In generale che si chiariscano gli equilibri, in Libia ma anche in Europa. Per il medio termine l'Italia pretende che in Libia si formi un governo di unità nazionale che chieda ufficialmente aiuto alla comunità internazionale. L'impegno italiano, se ci sarà, sarà molto limitato. Operazioni di polizia contro Daesh e, soprattutto, intelligence.Che si tratti di una marcia indietro emerge dalle aspettative che gli Stati Uniti hanno riposto sull'Italia. Ieri l'ambasciatore degli Stati Uniti John R. Phillips ha rilasciato un'intervista al Corriere della Sera nella quale si fa il numero di militari italiani impegnati in Libia: circa 5mila. E la guida delle operazioni.Gli italiani sono nettamente contrari. Secondo un sondaggio di ieri realizzato da Ixè per Agorà (Raitre) i no all'intervento sono l'81%, i favorevoli il 14% mentre i «non so» il 5%. Anche tra le forze politiche la contrarietà all'intervento è quasi unanime. Pesa la prospettiva di una guerra che di fatto è con truppe a terra. Ma anche la memoria del precedente intervento in Libia che portò alla fine di Gheddafi, con conseguenze totalmente negative per l'Italia, a partire dall'immigrazione. Ieri Silvio Berlusconi, ha detto «no ai bombardamenti in Libia. Spero che il governo Renzi non commetta l'errore di intervenire. Spero - ha aggiunto - che ci sia un filo di saggezza».
Il capogruppo di Forza Italia alla Camera Renato Brunetta ha ricordato «il disastro che si è realizzato in primavera-estate-autunno del 2011 in Libia» che vedeva «l'Italia di Berlusconi assolutamente contraria», fu l'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a costringere il premier a concedere le basi per i bombardamenti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.