Se c’è più di un dubbio che la legge di Bilancio sia una «iniezione di fiducia per l’Italia» come ha detto Matteo Renzi, è certo che per il ministero dell’Economia e per Pier Carlo Padoan, la «finanziaria » 2017 sia diventata un depressivo. L’ultima versione uscita dal Consiglio dei ministri è figlia legittima di Palazzo Chigi, raccontano fonti di maggioranza. Il dicastero di via XX Settembre si è limitato a certificare gli effetti delle «scelte politiche», con l’aumento della manovra a 27 miliardi di euro. Non i 24,5 miliardi delle prime bozze concordate con il Tesoro, non i 26,5 della versione entrata sabato a Palazzo Chigi, ma 27 tondi.
Per quanto riguarda il deficit, quel 2,3% per il 2017, presentato nei giorni scorsi come un compromesso tra la presidenza del Consiglio e la Commissione europea è in realtà una cifra che mette in imbarazzo chi deve tenere a bada le finanze pubbliche. Perché l’accordo con l’Ue non c’è. Non piace la rinuncia al taglio alla sanità, anche se rispetto al tendenziale. Prima c’era, poi è scomparso. Al fondo sanitario dovevano andare 112 miliardi, uno in meno rispetto alla cifra contenuta nelle slide di Renzi. Sulle pensioni la spesa preventivata era di sei miliardi in tre anni e non sette. Una concessione ai sindacati che il ministero avrebbe volentieri evitato, anche per l’incertezza sui costi della riforma. Difficile capire quanti avranno diritto all’Ape social, cioè l’anticipo gratuito di tre anni della pensione. Differenze di sostanza, insomma. Generosità alla quale non è estraneo il clima elettorale che si respira nei palazzi del governo. Tra i punti di attrito, anche la rottamazione delle cartelle esattoriali. Nella versione del premier gli interessi non sono dovuti, ma al ministro, anche dopo il Consiglio dei ministri, risultava che almeno quelli andassero pagati.
La conferma e i dettagli si sapranno quando la manovra sarà un vero e proprio testo di legge, quindi ancora qualche giorno. In questo lasso di tempo la legge di Bilancio potrebbe ancora cambiare. Il provvedimento deve passare per il Parlamento e l’iter di solito si risolve nell’aggiunta di provvedimenti di spesa. Questa volta potrebbe arrivare una limatura ai conti della manovra. Perché a Bruxelles non basta che il governo abbia limato di un decimale il deficit che era stato anticipato nei giorni scorsi, cioè il 2,4%. Serviva un disavanzo più vicino al 2%, visto che l’impegno era di un deficit all’1,8%. Il risultato dovrebbe essere una stretta sul riconoscimento dell’altro pezzo di deficit che il governo cerca di ottenere, quello legato alle circostanze eccezionali: terremoto e crisi migranti. Alla fine potrebbe essere concesso uno 0,2% per il primo capitolo e niente per il secondo. Il governo dovrebbe quindi limare il deficit di almeno un altro decimale, quindi 1,6 miliardi di euro. Come dire, il taglio alla sanità e qualche altra sforbiciata. Il clima piccato di Bruxelles ha anche un significato politico. La vittoria del «No» al referendum fa sicuramente paura al governo, ma alle istituzioni europee forse meno di prima.
Renzi, comunque, non ci sta e prova a fare la voce grossa. «Sono curioso di capire quali rilievi potrà fare. L’Ue vuole discutere le nostre spese sull’immigrazione? Ho una brillante idea: inizino a darci una mano, visto che stanno prevalendo gli egoismi e non la solidarietà ».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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