Roma - Da Cuneo, dove partecipa ad una manifestazione per il Sì al referendum, Matteo Renzi ringrazia il presidente della Repubblica: «Condivido non al 100, ma al 101 per cento le parole di oggi di Sergio Mattarella, e gli esprimo gratitudine per il ruolo che sta svolgendo».
Il segnale è chiaro, e serve anche a riempire il silenzio che si registrava ieri nel Pd dopo l'intervento del capo dello Stato a difesa della «sovranità demandata agli elettori», in risposta a quella che le opposizioni avevano denunciato come «ingerenza indebita» dell'ambasciatore Usa sul referendum italiano. Mattarella mette dunque a tacere le proteste, e questo non può che far piacere a Renzi, tanto più che il presidente tiene a sottolineare anche come, in «un mondo interconnesso», sia normale che ciò che accade in Italia «sia seguito con attenzione». L'incidente viene insomma chiuso, con grande abilità diplomatica, dal Quirinale. E il premier ne è sollevato, perché l'ultimo dei suoi desideri è di incrinare il feeling con l'Amministrazione americana. Una sintonia sottolineata dall'invito da parte di Obama per un tête-à-tête a Washington, in ottobre, e dalle parole con cui alla Casa Bianca lo si motiva: «L'occasione per celebrare profondità e ampiezza del nostro rapporto con l'Italia e scambiare vedute sul futuro dell'Europa».
Per questo Renzi ha evitato di alimentare la polemica intervenendo in proposito, lasciando ad altri l'onere di stemperare. Come per esempio ha fatto il ministro della Giustizia Orlando: «Vorrei relativizzare queste parole: si tratta solo di un consiglio di un Paese amico. Il popolo italiano è abbastanza maturo da tenere conto di queste parole nella giusta misura». L'unica frecciata, il premier la lancia all'incauto Luigi Di Maio, «uno che era partito per cambiare la storia e ha finito per cambiare la geografia», col suo qui pro quo su Pinochet «venezuelano». Nel frattempo, ieri arrivava (ma facendo assai meno rumore) un endorsement anche da Berlino: precisando che «non spetta al governo tedesco pronunciarsi su un referendum italiano», il portavoce di Angela Merkel ha ricordato che la cancelliera «appoggia le riforme del governo italiano».
Intanto nell'aula della Camera si torna a parlare di Italicum: ieri la conferenza dei capigruppo di Montecitorio ha fissato per il 20 e 21 settembre la discussione e il voto su una mozione di Sel che impegna il governo a modificare l'Italicum. La linea del premier resta dialogante: «A me l'Italicum piace. Ma vogliono cambiarlo? Eccoci». Ovviamente il Pd non ha alcuna intenzione di votare la mozione dei vendoliani, che peraltro bolla l'Italicum come «incostituzionale». Si lavorerà ad un testo alternativo, nel quale si farà un'esplicita apertura ad eventuali modifiche «migliorative» che possano trovare una maggioranza in Parlamento. E a finire nei guai sarà la minoranza del Pd, che sarà costretta a scegliere se aderire alla mozione del proprio gruppo (con un implicito riconoscimento alla buona volontà del governo, che farebbe cadere le loro argomentazioni per il no) o a schierarsi contro, autosmentendo le proprie richieste di modifica all'Italicum. E infatti i bersaniani erano ieri in grandi ambasce: «È una trappola, vogliono strumentalizzare le nostre richieste per farci votare la mozione e poi chiederci di essere conseguenti e di votare Sì al referendum». Un atroce dilemma da cui ieri a sera tarda la minoranza ha cercato di uscire in una lunga e tormentata riunione.
Martedì prossimo si terrà un'assemblea dei deputati Pd per decidere il da farsi sulla mozione, e sono prevedibili scintille. Renzi però ha fatto sapere che - purtroppo - lui non ci potrà esserci: sarà ancora in volo di ritorno dal vis-à-vis con Obama. Altro che Bersani.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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