RomaLa decisione è presa: il Pd mette la parola fine al governo Marino a Roma, e la Capitale andrà al voto in primavera, insieme alle altre grandi città. «Dobbiamo scegliere tra sacrificare Roma o rischiare di essere travolti tutti», ha spiegato Matteo Renzi a chi tra i suoi tentava di frenarlo.
«Fossi in Marino non sarei tranquillo», ha annunciato via intervista alla Stampa . Poi a sera, tra Twitter e gli studi di Porta a Porta , ha precisato: «Marino è una persona onesta e nessuno ha dubbi. Ma chi è onesto deve essere anche capace. Si guardi allo specchio e decida che fare: se sa amministrare va avanti, altrimenti va a casa». Un chiaro preannuncio di licenziamento. Del resto, gli indizi che a Palazzo Chigi si stava cambiando linea rispetto alla resistenza ad oltranza sul sindaco di Roma si moltiplicavano da giorni, e l'ipotesi di commissariamento del sindaco sul Giubileo era un segnale esplicito. Del resto ormai non era più rinviabile la scelta di distinguere drasticamente il ruolo del governo dal caos amministrativo e giudiziario romano, e il campanello d'allarme dell'ultima tornata elettorale ha spinto il premier all'accelerazione.
Come ci si arriverà, è un altro paio di maniche: Marino non è assolutamente intenzionato a dimettersi (ieri non ha commentato le parole del premier), e lascia trapelare anche la minaccia di candidarsi con una sua lista se il partito lo scaricasse. Nel Pd si ragiona sulla possibilità che siano proprio i consiglieri di maggioranza a togliergli la fiducia, o quanto meno a minacciarlo. La strada più indolore, dicono ai piani alti del Nazareno, vede Sel nel ruolo di chi toglie le castagne dal fuoco al Pd. Il partito di Vendola, sta in maggioranza con Marino ed è profondamente diviso al suo interno tra chi vorrebbe scaricarlo (anche per salvare il partito dagli schizzi di fango che gli piovono addosso da Mafia Capitale) e i romani che invece vogliono tenere su la giunta. Per ora è stata raggiunta una mediazione: Sel sfiderà Marino a «rinnovare drasticamente» la giunta capitolina, selezionando una serie di personalità «di eccellenza» in grado di dare a Roma un governo che segni «discontinuità e straordinarietà». Se il sindaco non ci sta, si staccherà la spina. A quel punto sarà il governo a commissariare il Comune (il nome più gettonato è quello del prefetto Gabrielli), in attesa dell' election day comunale della prossima primavera. E nel frattempo «lavoreremo per costruire una candidatura forte», spiegano nel Pd. Una prima idea il premier già se la è fatta: il profilo ideale sarebbe quello di un personaggio come Roberto Giachetti, attuale vicepresidente della Camera, profondamente estraneo alla «guerra per bande»" del Pd romano ma già braccio destro di un sindaco di caratura indiscussa come Rutelli. Ma quello di Giachetti non è l'unico nome che circola: si parla di Marianna Madia, di Raffaele Cantone, dello stesso Gabrielli. Si vedrà. La brusca sterzata di Renzi ha intanto causato una frattura ai vertici del Pd: Matteo Orfini, commissario del Pd romano e presidente di quello nazionale, fermamente attestato sulla linea della «blindatura» di Marino, non l'ha presa bene. Con i compagni di partito si è lamentato di essere stato «scavalcato», dissociandosi dalla scelta renziana: «Matteo è stato consigliato male, così rischiamo di più».
E ha fatto trapelare il suo disaccordo anche nelle dichiarazioni ufficiali: «L'appoggio al sindaco è ancora forte e deciso, le parole di Renzi sono se mai uno sprone a fare meglio e di più, con l'aiuto del governo». Ma il governo ha già deciso.