Renzi, obiettivo 58% per far fuori Franceschini e puntare alle elezioni

Fissata la soglia per avere il pieno controllo del Pd. Ma l'ostacolo è l'asse ministro-Colle

La trappola per Matteo Renzi ha un nome e cognome: Dario Franceschini. L'ex premier considera già chiusa con una vittoria la partita di domani delle primarie contro i due sfidanti Michele Emiliano e Andrea Orlando. La sfida, quella vera, in cui è in gioco il futuro dell'ex sindaco di Firenze si sta disputando tutta nella metà campo dei renziani. Il rottamatore fiorentino ha fissato un obiettivo: ottenere (almeno) il 58% dei consensi alle primarie. Una soglia che consentirebbe a Renzi di avere la maggioranza in assemblea nazionale e liberarsi dal «ricatto» politico di Maurizio Martina e soprattutto di Franceschini, al quale ieri ha dato una sberla annunciando lo slittamento dell'iniziativa a Caserta prevista insieme: oggi resterà a Roma per l'ultimo confronto social con gli elettori.

Se Renzi sfonda la soglia del 58% dei consensi non ha bisogno in assemblea del voto dei delegati di area Dem guidata dal ministro dei Beni Culturali. E nemmeno dell'appoggio della corrente di Sinistra è Cambiamento che fa capo al ministro dell'Agricoltura Martina, candidato alle primarie in ticket con lo stesso Renzi. Il segretario dimissionario dei democratici punta a ottenere il controllo assoluto del partito, per plasmarlo a propria immagine e somiglianza. Completare, insomma, il processo di trasformazione del Pd in PdR. C'è un solo modo per centrare il risultato: non scendere al di sotto del 58% dei consensi.

I calcoli del giglio magico fissano a quella soglia l'asticella per essere autosufficienti nell'assemblea nazionale. L'ultimo sondaggio riservato che circola al Nazareno, datato 26 aprile 2017, recapitato allo staff dell'ex presidente del Consiglio assegnerebbe alla mozione renziana la vittoria con una forbice tra il 62 e il 65%. Il trend è dalla parte del rottamatore. La missione è, dunque, a portata di mano. Più che Martina, il vero incubo per Renzi si chiama Franceschini. Il ministro dei Beni Culturali, leader dell'area filogovernativa, ha imposto, fino ad oggi, all'ex premier un atteggiamento prudente, fermando la corsa al voto e sostenendo il percorso di stabilità invocato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Il «bullo» di Pontassieve soffre l'asse Gentiloni-Franceschini-Mattarella contro il voto anticipato: le primarie saranno l'occasione non solo per riprendersi la leadership del partito ma per avviare la resa dei conti nel cerchio renziano. Il piano del rottamatore, archiviato il passaggio congressuale, potrà entrare nella fase due: la corsa al voto. La spallata al governo Gentiloni prima dell'approvazione di una manovra che si preannuncia lacrime e sangue potrà arrivare solo con il sostegno di Franceschini che controlla i gruppi parlamentari. Il ministro dei Beni Culturali che si è visto poco nella campagna elettorale per le primarie (non solo per garbo istituzionale verso il collega di governo Andrea Orlando) ha posto due condizioni all'ex capo del governo per appoggiare la richiesta del voto in autunno: una legge elettorale che sposti il premio di maggioranza dalla lista alla coalizione e la possibilità di scegliere il 35% dei capilista bloccati alle prossime elezioni politiche. Due condizioni destinate a cambiare gli equilibri nel Pd nella prossima legislatura. Sui capilista l'ex premier è disposto a trattare mentre non c'è margine di dialogo sul premio di maggioranza: Renzi non ha alcuna di intenzione di imbarcare in una futura coalizione i vari D'Alema, Bersani e Speranza che hanno abbandonato il partito. E, anche, ieri un falco renziano come Matteo Orfini è stato costretto a difendere la vocazione maggioritaria dei Dem: «La proposta di tornare alle coalizioni è sbagliata, perché le coalizioni hanno prodotto solo danni nella storia di questo Paese».

Per Orfini «ripartire da lì sarebbe un errore». Davanti all'ex premier c'è una sola strada per neutralizzare il «ricatto» politico dell'ex democristiano Franceschini: vincere le primarie con il 58%, relegando il ministro a un ruolo di comparsa nel futuro PdR.

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