L'Unione Nazionale Giudici di Pace ha confermato lo sciopero nazionale indetto da lunedì 29 settembre al 3 ottobre e a loro si è unita anche l'Associazione Nazionale Magistrati Onorari, che ha proclamato uno sciopero nazionale dei magistrati onorari di Tribunali e Procure nella settimana dal 20 al 24 ottobre. Nel mirino il ministro della Giustizia Andrea Orlando e la riforma da lui promossa che i giudici di pace definiscono «inaccettabile» denunciando anche i «falliti tentativi» di interlocuzione con la politica, e pronti anche alla «prosecuzione delle azioni di protesta». Sul piede di guerra anche i magistrati onorari che esprimono un netto «dissenso sul disegno di riforma Orlando, che non riconosce la rinnovabilità dei mandati, nonché trattamenti economici e previdenziali adeguati alle funzioni svolte».
Chissà se tra i «poteri forti» (o quantomeno barzotti) che si dice pronto a «sfidare» Matteo Renzi annovera anche la Conferenza episcopale italiana.
Già, perché ieri le tonache vescovili hanno messo nel mirino il premier, per rimbrottarlo («Basta con gli slogan, va ridisegnata l'agenda politica»), battere cassa (reclamando «interventi fiscali a favore della famiglia e più risorse per la scuola», solo privata ovviamente) e mandargli un minaccioso pizzino, modello Camusso sull'articolo 18, per esprimere «timore» per la «disponibilità al riconoscimento delle cosiddette unioni di fatto o al matrimonio di persone dello stesso sesso», varie volte manifestata dal premier. Per poi schierarsi, tramite esternazioni del segretario Cei Galantino, anche sull'articolo 18, preconizzando «morti da una parte e dall'altra» se si affronterà la questione «solo in termini di scontro», accusando i sindacati di «conservatorismo». Per poi mettere tutti nel mazzo: «La Chiesa pensa che bisogna guardare con più realismo alle persone che non hanno lavoro e che cercano lavoro. Il dibattito su articolo 18 sì, articolo 18 no è meno centrale e io vi vedo troppe bandiere che sventolano».
Il premier, dagli Usa, non sembra impensierito e fa sapere che rispetta «ogni tipo di considerazione, della Cei o di altri». I vescovi come la minoranza Pd, insomma. Nel Pd renziano si mostra una certa freddezza verso i proclami delle gerarchie cattoliche: «Stanno solo provando ad uscire dall'angolo dell'irrilevanza politica», commenta un esponente del governo. «A muoverli è la paura di vedersi decurtati i soldi per le scuole cattoliche», commenta un altro esponente del partito.
Renzi ieri è stato accolto da Marchionne negli stabilimenti Fca di Detroit, ultima tappa del suo tour negli Usa. «In comune abbiamo il fatto di non aver paura», ha detto l'Ad di Chrysler, «io continuo ad appoggiare la sua agenda di riforme». Oggi il premier rientra, pronto alla resa dei conti nella Direzione di lunedì. La minoranza Pd è in fibrillazione, chiede un incontro preliminare con Renzi e invoca una mediazione, offrendo ampi margini sugli anni di sospensione della reintegra per i neo-assunti in cambio del riconoscimento che la reintegra deve rimanere. Il premier però ironizza: «Se è un diritto costituzionale, perché non si chiede che valga anche nelle aziende sotto i 15 dipendenti?». Gli oppositori di Renzi non riescono a credere che il segretario voglia veramente andare fino in fondo, correndo il rischio di una rottura con la sinistra. «Non vedo il rischio di spaccature», ribatte Renzi. Ma al momento le relazioni tra maggioranza e minoranza Pd sono interrotte, da Palazzo Chigi ogni trattativa è stata sospesa. Pier Luigi Bersani tenta l'ultima forzatura per ottenere il dialogo: «Va trovato un equilibrio tra la dignità dei parlamentari e il governo». Nessuno vuole affondare il Jobs Act, ma - avverte - «in Senato c'è un percorso con degli emendamenti che andrà rispettato fino in fondo», e nel quale, visti i numeri, il governo potrebbe inciampare. Un appello che al momento sembra destinato a cadere nel vuoto. «Non sono interessato alla discussione tra correnti, ma a ridurre la disoccupazione», dice il premier.
«Non hanno capito - spiega un renziano - che per Matteo, oggi, loro e la Camusso sono come i controllori di volo di Reagan, o i minatori della Thatcher: o si piegano, o li spezza. È una prova di forza simbolica che lui vuole vincere, perché dopo nulla sarà più come prima». «Non ho paura dei poteri forti», ribadisce Renzi da Detroit. Figurarsi della minoranza Pd.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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