In casa renziana nessuno nasconde il rischio di «finire contro un muro» nei prossimi mesi, come sintetizza brutalmente un esponente di governo: «È il momento più difficile della nostra vicenda».
Dopo lo smarrimento seguito alle Comunali, c'è all'orizzonte la montagna da scalare del referendum costituzionale d'autunno, su cui Matteo Renzi promette «una gigantesca campagna di informazione» ribadendo la sfida: «Se perdo vado via, come accade in tutta Europa», dice pensando a Cameron «solo da noi chi perde resta e continua a fare carriera politica per 50 anni».
Ma prima ancora ci sono da navigare le sabbie mobili quotidiane del Parlamento, dove l'incidente è dietro l'angolo: «Non perdete tempo qui a Montecitorio, andate al Senato: ogni giorno è buono per fare il botto», suggerisce Peppe Fioroni. «A Palazzo Madama la maggioranza non c'è più, Ncd è diviso e in fibrillazione, nelle Commissioni si rinvia tutto, il rischio di inciampare è reale», racconta chi ieri ha raccolto le preoccupazioni del ministro Boschi in materia. Una cosa è chiara a tutti: l'unica «merce di scambio» a disposizione, per tentare di riportare sotto controllo la situazione, è l'Italicum, che col suo premio di maggioranza alla lista terrorizza gli alleati centristi di governo. «Per abbassare la tensione, dobbiamo aprire all'ipotesi di spostare il premio sulla coalizione, dandogli una speranza di sopravvivenza», spiegano nel Pd. E Renzi qualche segnale ha iniziato a mandarlo, lasciando intendere che un dialogo, sia pur «dopo il referendum, perché ora l'ipotesi non esiste», si possa aprire. Nulla di esplicito e di ufficiale, nulla di impegnativo: ma è già uno spiraglio nel quale in molti sperano di infilarsi, e che lunedì, nella relazione in Direzione, verrà riproposto dal premier. Rimane fermo, però, il no allo spostamento della data del referendum: «Una notizia falsa». La mozione chiesta da Sel per ridiscutere l'Italicum (mettendo in difficoltà Renzi) è stata rinviata a settembre dal Pd, che per allora però dovrà avere un piano d'azione. L'interlocutore è, nell'immediato, il partito di Alfano (e quello di Verdini), ma in prospettiva il disegno è più articolato: la speranza è di coinvolgere anche Forza Italia, che ha altrettanto interesse a quella modifica dell'Italicum. E in cambio, il Pd spera di ottenere un ammorbidimento della linea sul referendum costituzionale: se non il Sì esplicito (che pure potrebbe arrivare, negli auspici, da esponenti di rango come Stefano Parisi, che già si è detto favorevole alla riforma), almeno una rottura del fronte compatto del No. Perché «anche se noi fossimo tutti dei Messi, questa partita non possiamo vincerla contro tutto il resto del mondo», ragiona un renziano.
Un dialogo sotterraneo, con rappresentanti del mondo berlusconiano del calibro di Gianni Letta o Fedele Confalonieri, è già iniziato: «Anche loro sono convinti che con la linea oltranzista di Brunetta si ottenga l'unico risultato di portare voti ai Cinque Stelle», racconta chi segue la trattativa. «Nessun baratto, ma cambiare l'Italicum resta una nostra priorità», dice il capogruppo azzurro Paolo Romani.
Ma non basta Forza Italia: il lavorio per allargare il fronte del Sì è più vasto, e avranno un ruolo pro-riforma sia la Chiesa che il Quirinale, da cui potrebbe arrivare anche una tirata d'orecchi alla minoranza Pd, intenta a boicottare il referendum. Mentre l'ala «ulivista» dei renziani sta cercando di tirare dentro anche il pur rancorosissimo Romano Prodi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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