Renzi premier a sua insaputa. Bravo solo a scaricare le colpe

Frecciate per il Sud e i sindaci: "Basta piagnistei, rimboccarsi le maniche". Ogni volta spunta un nemico diverso a cui addossare gli insuccessi

Matteo Renzi incontra alcuni rappresentanti della comunità italiana in Giappone
Matteo Renzi incontra alcuni rappresentanti della comunità italiana in Giappone

Roma - «Con 2 milioni e 700mila presenze all'anno siamo il Paese europeo col maggior numero di turisti giapponesi. Ma chi fa 10mila chilometri per venire a vederci ha diritto di trovare le strade pulite. E il Sud deve smetterla con i piagnistei, si rimbocchi le maniche». L'ennesima frecciata dal premier Matteo Renzi, in trasferta a Tokyo, nei confronti del sindaco di Roma, Ignazio Marino (cui l'avviso di sfratto è giunto da tempo), ha un retrogusto amaro. Da troppo tempo, infatti, le parole del premier lasciano intendere che a Palazzo Chigi ci sia qualcun altro e non lui. Eppure se c'è qualcosa che non va, la responsabilità ultima è sua: la Costituzione stessa affida all'esecutivo un potere di indirizzo che, sebbene limitato, lo mette in condizione di risolvere eventuali grane.

Qualche esempio? Torniamo indietro di cinque giorni. Mercoledì l'incendio di Fiumicino blocca il principale scalo italiano. «Adesso basta, questo caos è intollerabile», ha detto Renzi rivolgendosi al povero Alfano cui è stata imputata l'unica colpa che non ha, giacché di Infrastrutture si occupa Delrio. Se proprio avesse voluto, ci sono strumenti come il Piano dei trasporti e l'Allegato infrastrutture del Def che consentono di evitare simili emergenze.

E che dire dei 100mila precari della scuola di cui si mise in dubbio per qualche giorno l'assunzione? «Sarà chiaro che la colpa per le mancate assunzioni è di Cgil e minoranza», disse il 17 giugno Renzi scaricando sulla solita guerriglia parasindacale il Vietnam parlamentare. Eppure il premier sa far di conto e sa come possano variare le maggioranze a seconda dei temi. Discorso che vale anche per quel «non possiamo perder tempo» sfuggitogli a marzo a proposito del ddl Cirinnà sulle unioni civili, rimasto a tutt'oggi lettera morta.

Nella retorica (anche se oggi usa dire storytelling ) renziana la contrapposizione con «gufi» e «rosiconi» fa di Matteo l'eroe in lotta perenne contro le forze conservatrici. Una deriva molto deteriore, però, è quella di dare la colpa degli insuccessi agli altri prima che a se stesso. «Ci sono vent'anni di politiche del territorio da rottamare», affermò a novembre il premier dopo le alluvioni in Liguria. Ma, anche in questo caso, è compito del governo finanziare adeguatamente le misure di prevenzione del dissesto idrogeologico.

È una narrazione a volte confusa e semplicistica quella del nostro Renzi. L'Europa diventa, schematicamente, «la vecchia zia che ti fa fare i compiti», «la casa della burocrazia» o, come disse il 27 agosto 2014 a proposito di Irak, un'entità che «non deve dormire, ma essere dov'è il dolore». Se l'Italia non conta in Europa e non influisce nemmeno sulle questioni internazionali (nonostante abbia espresso «Lady Pesc» Mogherini), anche il presidente del Consiglio ha qualche responsabilità. Invece no, c'è sempre un nemico cui imputare i fallimenti. «Le banche facciano girare denaro e diano credito alle imprese», sentenziò a giugno dello scorso anno presagendo che i dati macroeconomici non sarebbero stati lusinghieri per lui. È passato un anno e Renzi non è riuscito a cambiare verso. «Il problema non sono le regole, sono i ladri.

Chi ruba va preso a calci», proclamò allorquando lo scandalo del Mose decapitò la giunta veneziana. Come ha dimostrato Mafia Capitale, un presidente del Consiglio e segretario del Pd un po' di pulizia in casa propria avrebbe potuto farla. Evidentemente nessuno glielo ha mai ricordato.

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