Gli avversari nel Pd di Matteo Renzi fiutano il momento di difficoltà: il caso Boschi può ridisegnare la mappa del potere nel partito. Andrea Orlando e Dario Franceschini, i due competitor della leadership del rottamatore, non affondano il colpo, dopo le rivelazioni del presidente di Consob Giuseppe Vegas sull'incontro che avvenne 2014 con l'ex ministro delle Riforme per parlare della crisi di Banca Etruria, ma intanto preparano il terreno per mettere nell'angolo i renziani in vista delle politiche.
La posizione della Boschi, su cui si concentra il fuoco non solo degli avversari ma anche di una parte degli alleati, è l'arma nelle mani dei due ministri del governo Gentiloni per ricontrattare posti in lista e fette di potere. Se l'ex rottamatore vuole salvare la poltrona della Boschi deve firmare una tregua con Orlando e Franceschini. Ma non è una tregua in bianco: i due ministri chiedono posti nei listini bloccati per le rispettive correnti. Il leader del Pd non ha altra strada che accettare. L'ex premier sa bene che se i due leader dem cominciassero sparare sulla Boschi, chiedendone un passo indietro, risulterebbe difficile resistere alla manovra di accerchiamento. Soprattutto ora che i siluri contro la sottosegretaria alla presidenza del Consiglio arrivano anche dal giglio magico: Luca Lotti e Graziano Delrio non vedono l'ora di sbarazzarsi della Boschi. Orlando e Franceschini trattano su due punti: deroghe per la candidatura dei parlamentari uscenti che hanno superato il limite (previsto nello statuto del Pd) dei tre mandati e posti nel listino bloccato, gli unici che assicurano, sondaggi alla mano, un seggio sicuro nel Pd. Il piano dell'ex rottamatore di normalizzare il partito, portando a Montecitorio e Palazzo Madama renziani fedeli è destinato a saltare. Il vero incubo di Renzi si chiama Franceschini: il ministro della Cultura è l'azionista di maggioranza dei gruppi parlamentari. Una situazione che il leader dei dem punta a ribaltare nella futura legislatura. Missione praticamente già fallita: Renzi per salvare la Boschi sarà costretto non solo a concedere una deroga a Franceschini (ma in questo caso era scontata) ma a garantire la rielezione di 30 parlamentari tra Camera e Senato di area dem.
Numeri decisivi per indirizzare la linea politica, dato che sui 301 parlamentari uscenti solo la metà sarà rieletta nel Pd. Deroga scontata per Orlando, che ieri dall'assemblea nazionale di Dems, l'associazione politica che riunisce la sua componente, ha messo in guarda il leader del Pd a non cadere nella trappola della commissione sulle banche. Ma da Roma, il titolare di via Arenula ha consegnato un altro messaggio al capo del partito: non ha alcuna intenzione di accontentarsi della quota di 15 parlamentari che Bersani concesse allo «sconfitto» Renzi nel 2013. La tregua con il Guardasigilli costerà al segretario del Pd lacrime e sangue. Da dominus del partito il rottamatore si ritroverebbe ad essere un leader debole, non solo politicamente ma soprattutto numericamente. Risultato che Orlando già assapora: «Noi dobbiamo pensare alle elezioni, ma anche al giorno dopo e farci trovare pronti. Dobbiamo fare quello che il Pd non fa.
Non abbiamo nessuna intenzione di andarcene perché siamo quelli in grado di guidare il Pd. Siamo gli unici in grado di parlare ad un mondo che ci ha voltato le spalle, abbiamo la credibilità che altri hanno perduto». La partita per il dopo Renzi è già iniziata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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