Renzi si fa le consultazioni: vuole manovrare Gentiloni

L'accordo dopo il vertice decisivo con Franceschini. Il ministro ha la "statura internazionale" necessaria

Renzi si fa le consultazioni: vuole manovrare Gentiloni

Mentre al Quirinale, nella folcloristica cerimonia delle consultazioni, sfilano le delegazioni pulviscolari dei microgruppetti sconosciuti al mondo (Idea-Usei; Alternativa Libera; Pensiero&Azione e altre surreali sigle), a Palazzo Chigi si ragiona sul prossimo governo.

Scartata con decisione da Renzi l'ipotesi reincarico, il nome alternativo c'è: ora bisogna costruirgli intorno lo schema di gioco e il consenso, innanzitutto nel Pd sull'orlo della balcanizzazione. Paolo Gentiloni, il ministro degli Esteri, sale due volte nello studio di Matteo Renzi: prima in mattinata, poi nel pomeriggio. Salgono anche Pier Carlo Padoan, Maria Elena Boschi, Maurizio Martina: una sorta di gabinetto di guerra permanente sul cui tavolo si mischiano questioni urgenti di governo e schemi politici sulla crisi, con l'emergenza Mps che spinge per una soluzione accelerata. Gentiloni è il candidato che ha quella «statura internazionale» che molti hanno richiesto per il prossimo premier, è ben conosciuto in Europa e oltreoceano e ha un'autonoma rete di relazioni, avendo guidato per due anni la Farnesina. Ed è dal punto di vista di Renzi l'uomo migliore e più affidabile per un compito delicatissimo: fare un nuovo governo che assicuri elezioni ravvicinate e si occupi della legge elettorale da costruire e delle scadenze internazionali da gestire nei prossimi mesi. Non a caso, i Cinque Stelle hanno subito iniziato a sparare sul «clone di Renzi». Tramontata (o mai sorta) l'ipotesi di un governo «di tutti», il cerino del nuovo esecutivo resta tutto in mano al Pd. Ed è lì che occorre costruire una compattezza attorno al nome, per poterlo mettere sul tavolo di Sergio Mattarella come unica scelta del partito di maggioranza relativa. E il problema sta, naturalmente, nelle manovre della correnti, a cominciare da quella di Dario Franceschini, che conta un buon numero di parlamentari i quali speravano o ancora sperano di portare il loro capo a Palazzo Chigi, facendo asse con la minoranza Pd. Ma Giovani Turchi e sinistra interna, quella di Martina, stanno con il premier, e smarcarsi in questo quadro diventa difficile: «Nessun governo può nascere contro il segretario del Pd», ripete ai suoi Franceschini. Che proprio ieri sera ha visto Renzi per fare il punto. Un faccia a faccia nel quale pare si sia trovata la quadra, tanto che uscendo Franceschini ci ha tenuto a dire che «il Pd fa gioco di squadra».

Del resto, la costituzione del nuovo esecutivo può diventare l'occasione per tenere a bada dubbiosi e potenziali frondisti. Non che si punti a vorticosi ricambi di caselle: «Dobbiamo dare fin dall'inizio l'idea che questo non è un governo di legislatura, ma che va ad elezioni ad aprile», ripetono i renziani. Però ci sono carte da giocare: c'è chi ipotizza un passaggio di Franceschini dalla Cultura al più sostanzioso ministero dell'Istruzione (facendo saltare la Giannini). Orlando verrà confermato alla Giustizia, Padoan ovviamente all'Economia. Poi ci sarà la casella prestigiosa degli Esteri da riempire (anche se qualcuno ipotizza l'interim di Gentiloni). E qui si aprirà una nuova serie di problemi da risolvere: dare o non dare qualche strapuntino alla minoranza interna? E come rispondere alle pressioni dei verdiniani di Ala, che spingono per entrare? Ma sono tutti problemi secondari, per un gabinetto che nelle intenzioni del leader Pd deve durare il tempo necessario di fare una nuova legge elettorale. La richiesta chiara che arriva da Forza Italia è: proporzionale, con eventuale piccolo premio di coalizione e senza preferenze.

E Silvio Berlusconi è l'unico interlocutore possibile con cui il Pd sa di dover fare i conti. Una scommessa difficile, conoscendo la grande bonaccia di un Parlamento che non vuole essere sciolto (anche i Cinque Stelle hanno l'urgenza di maturare la pensione a ottobre).

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