Renzi vuole posticipare la data del referendum

Il premier spaventato dai sondaggi pensa a un mese in più di campagna a favore del Sì

Renzi vuole posticipare la data del referendum

«Questa è l'ultima conferenza stampa che facciamo tutti e tre insieme», ha detto ieri il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ospitando a Palazzo Chigi gli amministratori delegati di Eni (Descalzi), Enel (Starace) e Terna (Del Fante) per la firma del decreto rinnovabili. La battuta era riferita alla fine dell'annosa questione degli incentivi alle energie alternative diverse dal solare, ma suonava anche come un presagio non beneaugurante per le sorti dell'esecutivo.

Il flop del Pd alle amministrative ha distrutto le certezze del segretario-presidente del Consiglio. In primo luogo, lo ha reso consapevole che il referendum costituzionale è una sfida tutta in salita e che il vantaggio del fronte del «no» è consistente. Per quanto da qualche tempo Renzi non stia più mettendo l'accento sulle dimissioni in caso di sconfitta (vedi Il Giornale di ieri), è chiaro che in quell'eventualità la sua permanenza a Palazzo Chigi sarebbe comunque di breve durata. Anche perché forze esterne, polarizzate a Bruxelles, starebbero lavorando alla successione. Come accadde a Berlusconi nel 2011.

Di qui l'idea, trapelata da ambienti vicini al premier, di posticipare il referendum e guadagnare tempo prezioso per la macchina elettorale renziana. Il premier, infatti, aveva lasciato intendere che domenica 2 ottobre potesse essere una data buona per celebrare la consultazione. Adesso si pensa addirittura al 23 se non al 30 dello stesso mese. Con quattro settimane in più si avrebbe più tempo per far passare il concetto sui media (Rai e maggioranza dei quotidiani sono «appiattiti» sulle posizioni del sì). La pausa agostana rischia di far scendere il livello della mobilitazione e con tutto settembre e tutto ottobre disponibili si potrebbero riannodare le fila del discorso, anzi meglio della narrazione renziana. La Corte Costituzionale potrebbe contestualmente rinviare la valutazione del ricorso contro l'Italicum, prevista per il 4 ottobre.

Intanto l'asse Quirinale-Bce-Berlino-Bruxelles starebbe pensando al «piano B» nel caso in cui Renzi non dovesse godere più di una maggioranza a causa delle fibrillazioni di Ncd e Ala (come l'incidente di percorso ieri al Senato lascia intendere) o della sconfitta referendaria. La Commissione Ue starebbe guardando con sempre maggiore simpatia al ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, del quale sono molto apprezzate le parole sulla «sostenibilità» della prossima manovra finanziaria. Frenando gli slanci elettoralistici del premier (anticipo del taglio Irpef e bonus da 80 euro per i pensionati), il titolare di Via XX settembre s'è guadagnato i galloni di riserva della Repubblica e di interlocutore affidabile per Frau Merkel.

Ecco perché Renzi, per coprirsi a sinistra, ieri ha presentato in pompa magna il decreto sulle rinnovabili: 9 miliardi in 20 anni per le energie alternative (biomasse, eolico e ricerca sul termodinamico). Un tema che sta molto a cuore alla minoranza del Pd e a Sel.

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