La resa amara di Puigdemont: "È finita, Rajoy sta vincendo"

Svelati messaggini privati del leader ribelle a un parlamentare: "Mi hanno sacrificato. Ma non mollo"

La resa amara di Puigdemont: "È finita, Rajoy sta vincendo"

Il momento peggiore è proprio quando avverti l'arrivo della fine. La solitudine e la stanchezza che precedono la fine sono peggio della resa stessa. Puigdemont è un ribelle battuto. Lo ammette lui stesso in un amaro sfogo al suo collega dell'ERC, Toni Comin. Uno scambio di messaggini intercettati dalle telecamere di Telecinco che smascherano lo sconforto di un leader isolato. Martedì scorso a Barcellona è un giorno chiave: è fissata la sua investitura ma lui è in esilio. La giornata è difficile e si decide di rinviare tutto. Puigdemont segue tutto dal Belgio e soffre. Si sente perso e gabbato. Lontano. Lontanissimo. Lui che in questa battaglia per l'indipendenza ci ha investito tutto. «Sono gli ultimi giorni della Catalogna repubblicana». Scrive al compagno. Lo sfogo è disperato. Il pensiero va ai sacrifici e alle rinunce.

«Il piano della Moncloa è riuscito, spero solo che sia vero e che, grazie ad esso, possano uscire dal carcere tutti perché se no sarebbe il ridicolo storico, sarebbe storico». «Immagino ti sia chiaro che è finito: ci hanno sacrificato, almeno me. Voi sarete consiglieri, (spero e mi auguro) ma io sono stato sacrificato». È andato allo scontro con Madrid, non si è mai tirato indietro. Nessuna diplomazia o strategia al ribasso. Anzi. Ha spinto sull'acceleratore sempre. Anche quando i più cauti gli suggerivano di rallentare. E invece niente. Ha sfidato la legge e ha dichiarato l'indipendenza, è fuggito per evitare il carcere. Si è preso portoni in faccia. L'Europa, con la Merkel in testa, gli hanno risposto picche alla sua richiesta di aiuto. La battaglia- gli hanno risposto- non è la nostra. Anzi, noi stiamo con Rajoy, dalla parte dell'unità. Lui, un don Chisciotte moderno non ha mollato il colpo e stoico, ha lottato contro i mulini a vento. Ha tentato il colpo gobbo perfino, uscire dalla sua tana di Bruxelles e volare a Copenaghen, correre il rischio di farsi arrestare. Solo per tornare in patria, per rientrare - disperato - nel gioco politico. E non ha attecchito neppure questa strategia. Il giudice non ci è cascato, per lui è libero di viaggiare dove vuole. L'ennesima beffa, un accanimento ormai contro un rivoluzionario sempre più ferito e indebolito. Lontano da Barcellona, dall'eco degli slogan urlati dai ragazzi indipendentisti è tutto più difficile. Le critiche di chi pensa che l'esilio non sia strategia politica ma fuga dal carcere fanno più male. Il premier Rajoy che imperturbabile aspetta lungo la riva del fiume. Impassibile e sicuro, sempre più forte. Lui che ha già detto che si ricandiderà e che raccoglie sempre più consensi.

Puigdemont che ha ammesso che i messaggi sono i suoi, ha scritto su Twitter: «Sono un giornalista e ho sempre saputo che ci sono dei limiti, come la privacy che non devono mai essere superati». E poi ha aggiunto, «Sono umano e ci sono momenti in cui dubito anch'io. Ma sono anche il presidente e non mi tirerò indietro, per rispetto, gratitudine e impegno per i cittadini e il Paese. Andiamo avanti». Ma difficile crederlo se anche lui ormai vacilla. E adesso in Spagna molti si interrogano se i messaggi, ripresi dalla telecamera di Telecinco, siano stati catturati o fatti vedere. Non è chiaro cosa sia successo.

Secondo El Mundo, potrebbe esser stato il colpo definitivo di Esquerra Republicana (ERC), la sinistra indipendentista guidata dall'ex vicepresidente Oriol Junqueras, oggi in carcere in attesa di processo, per convincere Puigdemont a fare un passo indietro; oppure la strategia di entrambe le parti per comunicare che la situazione è a un punto limite e o Puigdemont viene investito o tutto è finito.

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