Guerra in Ucraina

La resa dei conti al Cremlino. "Putin male informato dai suoi. Hanno paura di dirgli la verità"

Scrive Sun Tzu nell'Arte della guerra: "La guerra è il Tao dell'inganno". L'intuizione dell'antico generale cinese ci insegna ancor oggi ad essere molto prudenti a giudicare le mosse sul campo, le strategie

La resa dei conti al Cremlino. "Putin male informato dai suoi. Hanno paura di dirgli la verità"

Scrive Sun Tzu nell'Arte della guerra: «La guerra è il Tao dell'inganno». L'intuizione dell'antico generale cinese ci insegna ancor oggi ad essere molto prudenti a giudicare le mosse sul campo, le strategie. Presa atto di questa necessaria cautela al 35esimo giorno di conflitto le impressioni degli analisti sulla condotta operativa di Mosca iniziano ad essere sempre più univoche. A riassumere l'impressione generale una fonte dell'intelligence Usa sentita dalla CNN. «Noi crediamo che Putin riceva informazioni errate dai suoi consiglieri su quanto stia andando male l'operazione dell'esercito e su quanto l'economia russa sia azzoppata dalle sanzioni - spiega il funzionario - perché i consiglieri hanno troppa paura di dirgli al verità». Allo stesso tempo, le fonti militari aggiungono «di avere informazioni che indicano che Putin si sente ingannato dai vertici militari russi» e di una «persistente tensione tra Putin e il ministero della Difesa, provocata dalla sfiducia di Putin nella sua leadership». Per esempio, viene sottolineato che Putin non sapeva che l'esercito «stesse usando e perdendo in battaglia reclute, cosa che indica una chiara mancanza di informazioni accurate».

Ovviamente nessuno ha la sfera di cristallo per guardare nei meandri del Cremlino. Per altro i russi hanno spesso utilizzato forze di leva con scarso addestramento, accadde anche in Cecenia, senza troppo riguardo. Almeno in quest'ambito sarebbe da capire se Putin avesse, davvero, necessità di essere informato della prassi. Forse ha semplicemente sperato di non doverlo fare, illuso di una guerra lampo. E in questo campo le osservazioni degli analisti si appoggiano su indizi forti, quasi evidenze.

Nella prima fase della «operazione speciale» (una dizione che potrebbe diventare anche sinonimo di disastro militare) dopo una serie di azioni mirate, con forze d'elitè, Putin rivolse una serie di appelli ai militari ucraini a destituire il loro governo. Non sembrava un tentativo alla cieca, piuttosto uno dei risvolti del piano di aggressione. Nessun defezionamento ucraino, anzi. In quel momento, per la prima volta, si ebbe l'impressione che Putin stesse ragionando su informazioni inesatte. Poco dopo uno degli uomini chiave vicino a Putin, Dmitri Kozak, che secondo molti era quello che coordinava le operazioni speciali, è stato rapidamente demansionato e sostituito con Vladimir Medinsky. L'inizio delle cattive informazioni fornite al leader? Poi a fare le spese del mancato successo sono stati i vertici dei servizi segreti. Sono finiti agli arresti domiciliari il capo dello spionaggio estero dell'Fsb e il suo vice: Sergej Beseda e Anatolij Bolyukh. A quel punto però la grande macchina dell'offensiva era lanciata ed era complesso, politicamente devastante, tornare indietro.

Dopo di che la questione è diventata militare, con un esercito costretto ad avanzare in pieno disgelo. Cosa significhi in Ucraina non dovrebbe sfuggire all'ultimo dei tenenti. E invece... E invece le forze di terra russe hanno subito nel corso degli anni una consistente modernizzazione che è passata anche per una robustissima riduzione degli ufficiali nei ranghi, tra 2008 e 2012 è stata del 61% circa. Uno snellimento comprensibile e pensato per una forza agile ma che può anche aver fatto passare l'idea che chi non dice sempre di sì finisce fuori. E generali che dicono sempre di sì non sono una bella cosa. Tanto più se ci si ritrova a fare una guerra di «massa», mancano i corpi intermedi capaci di tenere assieme le cose. E questo spiegherebbe gli alti ufficiali finiti in prima linea e falciati come mai prima. E spiegherebbe anche la scomparsa dai radar del ministro della difesa Sergei Shoigu di cui si è addirittura vociferato, a quanto pare a torto, di un infarto. È ricomparso, di fatto è insilurabile al momento. Ma è evidente che il suo modello, che funzionava benissimo per l'impegno limitato in Siria, qui si trova a mostrare la corda. Quanto di questo era stato spiegato onestamene a Putin? Quanto Putin era disposto ad ascoltare? Non lo sapremo probabilmente mai. Ora i russi riposizionano, cambiano obiettivi, continuano a disporre di una macchina militare, se non formidabile, enorme. Ma che si sia mossa con una visione operativa chiara inizia a non pensarlo più nessuno. E forse chi siede alla guida si è sentito raccontare troppe favole russe.

Favole che, ora come ora, si vendono in rubli, o almeno si provano a vendere in rubli.

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