Ci sono i sommersi dalle macerie. E i salvati. Dal vezzo del fato, da un granello di sabbia finito nella macchina fin troppo efficiente di una tragedia già controfirmata, dal coraggio a busta paga degli uomini dei soccorsi che si sono trasformati in acrobati, in alpinisti, in scalatori di pietre e rottami per strappare qualche biglia al pallottoliere della morte.
Dentro questa Spoon River di non morti, di increduli, di tumefatti, ci sono Natasha ed Eugenio, incarcerati per decine di ore nella loro automobile inghiottita come altre trenta dal nulla che prima era strada. Loro sono finiti in un cratere, al fondo della montagna di macerie di quella che era stata la campata centrale del ponte Morandi, appesi a testa in giù ma vegeti. I loro lamenti sono stati uditi da qualcuno dei soccorritori che hanno lavorato alla loro liberazione con frenesia ma anche cautela, per il timore di provocare, con le vibrazioni del martello demolitore e delle cesoie idrauliche, nuovi sfasci rovinosi. Un'ora c'è voluta per strappare i due alla valle della morte. La prima a essere portata via, in volo come un angelo in mutande, è stata lei. Poi Eugenio l'ha raggiunta.
Secondo la moglie Giulia è stata invece la voglia di conoscere a tutti i costi il figlio che lei sta per regalargli a spingere Gianluca Arditi, 29 anni, a tenere duro nel suo furgone appeso a venti metri da terra tra le macerie, con il suo collega morto accanto. Come se ci fosse posto soltanto per un sorriso in quell'abitacolo in bilico sulla vertigine. Gianluca se l'è cavata con una frattura alla spalla e ha in poche ore ha riscritto probabilmente tutti i suoi standard emotivi. Sarà un padre differente, senza dubbio.
Marina Guagliata è un'altra sopravvissuta. Lei non era sopra il ponte di Brooklyn che ha fatto la fine delle Torri Gemelle, ma era sotto, con la figlia Camilla di 24 anni, a fare acquisti nei pressi dell'Ikea, quando il cielo è caduto addosso e attorno a loro. Sono finite sotto tenendosi per mano, la mamma a togliere i sassi di bocca dalla figlia, sono entrambe fuori pericolo. La mamma ha una commozione cerebrale, lo sfregio dei capelli rasati sulla nuca sinistra che con le tumefazioni la fanno assomigliare a una stralunata punk. Ma lei è felice, ha appena saputo che Camilla - che ha il bacino rotto e un polmone perforato - potrà raccontare questa storia inaudita.
Davide Capello è un vigile del fuoco con l'hobby del calcio, gioca portiere, era una promessa del Cagliari. Il volo più plastico lo ha fatto martedì quando è planato dentro la sua Tiguan, forse telecomandato da una cerniera stradale benedetta, su un muro di macerie. Il suo telefono ha continuato a funzionare e lui ha chiamato i soccorsi. Chi ha risposto pensava fosse un testimone, tanto era inverosimile quella telefonata dall'irrazionale. Davide ha 31 anni e nemmeno un graffio e dopo aver parato questa cosa nessun tiro del più forte dei bomber potrà fargli paura.
Infine Luciano Goccial, camionista che era sotto il ponte quando è venuto giù. Lui ha pochi graffi, un braccio al collo, racconta di essere stato travolto appeno uscito dalla cabina del suo mezzo, che è là schiacciato come una scatola di sardine, mentre lui ringrazia l'onda d'urto che lo ha quasi smaterializzato, salvandogli la ghirba.
Tra i sommersi e i salvati ci sono le «x», più vicine ai primi che ai secondi, ahinoi.
I dispersi, quelli che sono da qualche parte e che tengono in bilico la ragioneria del lutto. Sono tra dieci e venti. Le speranze di trovarli vivi sono poche e diminuiscono di ora in ora, ma i salvati non smettono di aspettarli.
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