Resteremo soli come sull'immigrazione

C'è anche la Gran Bretagna. Quindi Parigi-Mosca-Washington-Londra. Gli alleati. Quelli che contro l'Isis o Daesh, o qualunque altra sigla si decida di usare, combattono. C'è la Gran Bretagna perché ieri il premier David Cameron a Parigi ha dato due segnali forti: la prima è l'uso immediato della base britannica di Cipro, la più vicina alla Siria, per far decollare i caccia francesi che bombardano lo Stato islamico in Siria e Irak; la seconda è la promessa di tornare entro la settimana in Parlamento a chiedere l'autorizzazione a inviare i suoi jet a sganciare altre bombe sugli jihadisti. Con la Gran Bretagna si ricostruisce un'alleanza che sa di storia: partendo da posizioni e situazioni molto diverse rispetto al passato, ricalca idealmente la coalizione che sconfisse il nazifascismo. Perché per la prima volta dal Dopoguerra lo scenario di un conflitto non è solo quello lontano, mediorientale, ma anche quello europeo. Cameron non poteva stare fuori e le ragioni sono due: 1) contare di più a livello internazionale, dopo anni in cui il ruolo geopolitico di Londra era stato marginale. 2) Continuare il suo progetto di lotta al terrorismo anche in casa, sul proprio territorio, se è necessario anche con provvedimenti duri, che limitano libertà e privacy.Londra gioca la sua partita. Come Parigi, come Washington, come Mosca. Ciascuno il suo e così ciascuno per tutti. Rimane fuori l'Italia che ieri ancora una volta ha precisato con il ministro Gentiloni di «non sentirsi in guerra». Siamo più deboli e più esposti. Stando fuori pensiamo di salvarci.

È un rischio doppio: l'estremismo ha dimostrato di colpire anche chi si tiene alla larga dagli scenari mediorientali. E in caso di attacco saremmo soli. Come lo siamo stati sull'immigrazione. I distinguo, in politica internazionale, si pagano. Spesso.