Ribelli sconfitti e subito linciati Decapitati al grido «Allah akbar»

Il putsch dura una notte. Il regime lo soffoca grazie ai lealisti: 265 morti e migliaia di arresti. E parte la crudele vendetta sugli insorti

Noam Benjamin

Un soldato decapitato in un lago di sangue, circondato dai sostenitori dell'Akp, il partito del presidente Recep Tayyip Erdogan, che inneggiano ad Allah. Il video dell'orrore, comparso su un canale YouTube, poi rimosso ma nel frattempo ripreso da vari siti internazionali, rappresenta l'immagine simbolo della fine del golpe più breve della storia e dell'inizio dell'Erdogan 2.0.

«Una macchia nera sulla democrazia turca», come lo ha poi definito il primo ministro di Ankara, Binali Yildirim, oppure un autogolpe inventato dallo stesso regime a scopi propagandistici, come insinuato da altri. Fra venerdì sera e sabato le notizie in arrivo dalla Turchia hanno distolto i media dall'odiosa strage islamica consumata sul lungomare di Nizza. «Colpo di stato militare» titolano le agenzie, riportando alla memoria i quattro putsch condotti dai generali turchi fra il 1960 e il 1997 contro i governi di Ankara. L'allarme è rientrato all'alba di sabato, con il ritorno a Istanbul del presidente Erdogan: lui stesso dichiarerà fallito il tentativo di rovesciare il suo governo. Tutto è cominciato alle 19.30 di venerdì, quando i social media denunciano la chiusura a Istanbul dei ponti sul Bosforo. Attorno agli stessi e all'aeroporto cittadino appaiono i primi cingolati; un soldato viene filmato mentre urla «è un golpe» e c'è chi dice che Erdogan è morto. In pochi istanti la notizia fa il giro del mondo: il capo di Stato maggiore è ostaggio dei generali insorti e il premier Yildirim fedelissimo di Erdogan conferma che nel Paese è in corso un tentativo di putsch. La battaglia si fa subito mediatica: militari golpisti entrano nella sede della radiotv pubblica Trt e impongono con le armi alla conduttrice la lettura di comunicato. Il colpo di Stato è nato in reazione a Erdogan e al suo governo che hanno eroso la democrazia e la laicità della Turchia: da adesso il Paese è guidato da un «Consiglio per la pace». Dove sia il presidente lo si scoprirà poco dopo: è in vacanza a Marmaris, sul Mar Egeo. E non è morto: il sultano interviene in video dal suo cellulare nel corso di una diretta tv di Cnn Turk. »La catena di comando è stata violata da una minoranza di militari - conferma Erdogan - ma non esiste potere più grande del potere del popolo». E al popolo che lo scorso novembre gli ha tributato il 49,5% dei consensi, Erdogan chiede di scendere in piazza a difesa della democrazia violata; una sfida aperta al coprifuoco appena dichiarato dagli insorti.

Durante la notte sale la tensione: cingolati circondano il Parlamento, un caccia militare abbatte un elicottero, e l'agenzia Anadolu parla di almeno 17 poliziotti rimasti uccisi in scontri con i ribelli. Esplosioni vengono sentite sia nel centro della capitale, sia all'aeroporto Atatürk di Istanbul. Le televisioni trasmettono le immagini di caroselli di auto dalle quali spuntano numerose bandiere turche ma sale anche la conta delle vittime. Secondo il numero due delle forze armate, il generale Umit Dundar, nella notte i morti sono saliti a 190, fra i quali 41 poliziotti, due soldati, 47 civili e 104 golpisti non meglio identificati. A mezzanotte Yildirim proclama la no fly zone sopra alla capitale, un segnale che l'ago della bilancia comincia a pendere dal lato dei governativi. Partono anche le prime accuse: per il ministro della Giustizia dietro ai golpisti c'è l'imam Fethullah Gülen. L'ex mentore di Erdogan e ora suo arcinemico, da anni in autoesilio negli Usa, smentisce nel modo più assoluto. La confusione aumenta: trenta golpisti si arrendono alla polizia a Istanbul, ma Cnn Turk interrompe le trasmissioni dopo che militari anti-Erdogan irrompono negli studi. Nel frattempo notizie pro-golpisti arrivano da fonti Usa: Erdogan sarebbe in fuga verso Berlino, ma le autorità tedesche gli avrebbero rifiutato l'asilo. Il jet del sultano punterebbe allora su Londra, no anzi su Ciampino. La verità è un'altra: all'una di notte il presidente lascia, illeso, l'aeroporto di Istanbul dove è appena arrivato da Marmaris. Erdogan proclama il cessato pericolo. In poche ore 2.840 militari sono tratti in arresto; il maglio del sultano colpisce anche 2.745 magistrati colpevoli di non aver impedito il golpe.

Sabato i quattro partiti presenti in Parlamento sottoscrivono, fatto rarissimo, un documento comune di condanna del putsch mentre Yildirim se la prende con gli Usa: dare ospitalità a Gülen «è un atto ostile» contro la Turchia.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica