Chi è la ragazzina ebrea che fu uccisa nel 1941 nel campo di sterminio di Auschwitz e che ha continuato a vivere attraverso i suoi capelli, «trapiantati» su una bambola arrivata fino a noi?
È una storia triste, lacrimosa e bellissima, quella della «Barbie dello sterminio», raccontata in questi giorni da un quotidiano turco, lo Hürryiet Daily News. Uno dei tanti punti di inizio per raccontarla, quello che scegliamo noi, è Kepez, nella provincia di Antalya, costa meridionale della Turchia. Qui dal 2017 ha sede l'Anadolu Oyuncak Müzesi, il museo anatolico del giocattolo, che richiama ogni anno circa un milione di visitatori che accorrono per vedere i circa 13mila pezzi provenienti da sedici Paesi di tutto il mondo. Tra essi c'è anche una bambola dagli occhi grandi azzurri e dall'antiquato vestito rosso, alta una trentina di centimetri. Fu acquistata qualche tempo fa da uno dei curatori del museo in un mercato della Germania ed è diventata uno dei simboli del museo. I suoi capelli castani sono veri e sono quelli di una bambina ebraica sterminata come migliaia di altri nell'annus horribilis 1941 ad Auschwitz, il campo di sterminio in territorio oggi polacco nel quale tra il 1940 e il 1945 furono ospitati oltre 1,3 milioni di deportati, quasi tutti uccisi.
Era un uso comune in quegli anni oscenamente crudeli che le ciocche di capelli delle piccole condotte alle camere a gas venissero raccolte e utilizzate per adornare le bambole destinate a finire nelle stanze delle bambine tedesche benestanti. Un modo per far risparmiare le fabbriche di giocattoli, che si trovavano a disposizione materia prima di qualità a costo zero. Un'abitudine lugubre che metteva nello stesso cesto la fortuna e la sfortuna, il gioco e la morte, il sorriso e il ghigno dell'orrore. Una bambina moriva, l'altra viveva momenti trasognati spazzolandole i capelli.
Molte di quelle bambole sono sparite in giro per il mondo, dentro il grande sgabuzzino della vita, ma una è finita settantotto anni dopo in quel museo sperduto della costa turca. E un giorno alcuni visitatori l'hanno notata e hanno segnalato la loro scoperta a delle organizzazioni ebraiche. Alcuni esponenti sono andati a Kepez, hanno visionato la bambola nella sua teca e hanno chiesto a Emrah Ünlüsoy, il giovane direttore del museo, di poter tagliare una ciocca di quella chioma castana. «Quando abbiamo chiesto loro il motivo della richiesta - racconta Ünlüsoy - ci hanno detto che volevano fare dei test del Dna per identificare la bambina che aveva senza saperlo fornito i capelli, per contattare la sua famiglia. Così abbiamo dato loro un permesso speciale per avere quel reperto». Lo scopo è dare un nome a quella bambina e regalare la bambola ai suoi familiari come estremo, tardivo ricordo di una morte ingiusta e di una vita troppo breve,
Eppure non possiamo non pensare che se
quella bambina oggi fosse ancora viva - e potrebbe esserlo - i suoi capelli sarebbero tutti bianchi mentre su quella bambola restano ancora castani come erano prima dello sterminio. La vita è un parrucchiere davvero bizzarro.
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